Leopardi amava i
tortellini … e non solo
E’
stato questo anche l’anno di Giacomo Leopardi col film di Mario Martone, “Il
giovane favoloso”, interpretato magistralmente da Elio Giordano. Nelle scuole
alberghiere italiane è stato affrontato un aspetto inedito e solo trasversale nel
film della vita di Leopardi: la cucina, il gusto, il rapporto col cibo ed il
poeta.
La cucina e la
passione per la tavola rivela tanta umanità, con la sua forza e fragilità, con
le sue virtù e contaminazioni, di artisti, poeti, scrittori e di uomini
qualunque.
Nel film, durante una visita medica resasi
necessaria durante il suo soggiorno napoletano, Giacomo confessa una dieta
sostanzialmente proteica e scarsa di verdure e frutta e pertanto viene
rimproverato dal medico che lo sollecita a stare lontano dai dolci. Verrà
immediatamente ignorato ogni buon consiglio, visto che nella scena successiva
lo vediamo intento a consumare un gelato alla crema.
Libertà artistiche come mostrarci che a
Recanati, un Leopardi già adulto, si facesse tagliare la carne dal padre con
gesto quasi materno? No di certo. Domenico Pasquariello “ Dègo” e Antonio
Tubelli hanno pubblicato un volumetto dal titolo molto semplice,“ Leopardi a
tavola”, Fausto Lupetti editore di Bologna già nel 2008, in cui sono riportate
le quarantanove ricette scritte di pugno dallo stesso poeta. Una lista
silenziosa, senza commenti, senza aggiunte, ma sufficiente per offrirci
qualcosa di nuovo, di non detto su Leopardi? Probabilmente sì. E risulta che
“il piacere” assaporato, quando
poteva, lo consolò e lo curò , come
capita quando qualcosa non ci nuoce. Vero è, intanto, che non ci sono
“concessioni” marchigiane, quindi non ci sono nostalgie “ di casa” nemmeno in
questo senso. Non perché la cucina marchigiana non sia ricca di prelibatezze,
ma perché nell’austera casa Leopardi non venivano frequentate. Giacomo a Napoli incontra Pasquale Ignarra, “patriota
al novantanove (1799) e per giunta finissimo cuoco” e con lui ha scoperto che
il buon cibo aiuta a vivere. Dall’ottobre del 1833, Leopardi soggiorna in varie
dimore intorno a Via Toledo. Nella Primavera del ’35 si ritira con Ranieri e
sua sorella, nonché Pasquale a Capodimonte. L’elenco inizia con tortellini di magro. Dal nono al
dodicesimo ci sono prelibate “frittelle” di riso, semolino, mele e pere,
borragine. Le uova sono solo al numero 35 della lista e sarà da tenere a mente
quando le avremo al primo posto nella lista delle preferenze di un altro
letterato.
La parentesi a Torre del Greco fa vivere
questo anomalo gruppo sociale che ha il suo fulcro intorno a Giacomo Leopardi,
momenti profondamente incisivi per tutti. Leopardi conversa con Pasquale che lo
custodisce con le sue semplici eppure ricche prelibatezze, tant’è che Giacomo
gli fa comprendere quanto valore ci sia in un piatto: il tempo, la terra che si
è fatta “appetibile”grano, farine, prodotti dell’orto e poi i pesci del mare ed
il senso e significato della pulizia. Solo così si approdava allo stufatino di
pesce, al timpano di tagliatelle, al cacio cotto consumato sotto le pendici del
Vesuvio che a breve ispireranno al poeta il capolavoro “ La ginestra”, dove
tanta solidarietà insita nel messaggio testamentario
di Leopardi ha avuto anche un sommesso profumo ispiratore proveniente dalla
cucina di Pasquale.
Pasquale Ignarra, dunque, è stato per Giacomo
Leopardi lo scalco, il gentiluomo che sovrintendeva alla cura, filologicamente è anche un modo per dire “ amore” alimentare
del Conte Leopardi e, forse, gli gnocchi al latte, la zuppetta di selleri, la
trota carbonata o la spumetta di prosciutto o i biscotti di Gragnano hanno
fatto la differenza tra mangiare e gustare, come c’è differenza tra cucinare e fare da mangiare.
Lorella
Rotondi
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