martedì 30 giugno 2015

COCAINA: OVVERO, ALLA RICERCA DI UN PARADISO ...

COCAINA: ovvero, alla ricerca di un paradiso!
di Pier Luigi Nanni
   Settimana scorsa sono stato invitato, come operatore della pubblica istruzione, ad un seminario dal titolo alquanto inquietante che, purtroppo, coinvolge sempre più i nostri giovani: la droga, nello specifico, tutto ciò che riguarda l’uso e l’abuso della cocaina, ovvero, alla ricerca di un paradiso …
Il convegno è stato tenuto da vari ed importanti addetti al settore, sia analisti, medici e rappresentanti delle istituzioni, i quali hanno messo “a nudo” questa situazione che, purtroppo, si sta espandendo sempre più a macchia d’olio in ogni settore ed attività della società. Inoltre, è sempre maggiormente evidente che la somministrazione di tale droga, cocaina, e non solo quella ma di tutta una serie di micidiali acidi ed altre porcherie, colpisce età sempre più giovani: si è arrivati che “si fanno” BAMBINI di 10-12 anni!!!
Un noto ricercatore americano ha presentato, molto “freddamente”, quella che la cocaina è: semplicemente un alcaloide … pertanto eccola descritta analiticamente.
   La cocaina è un alcaloide bianco, cristallino, derivato dalla foglia dell’arbusto di coca, ERYTROXYLON COCA, coltivato sui rilievi andini del Sud America. La pianta cresce meglio sul versante orientale delle Ande, in Bolivia ed in Perù, tra i 400 ed i 2000 m s.l.m., in zone fresche, umide ma che non gelano mai ed è sempre verdeggiante, con una temperatura annua media tra 10-20 °C, inoltre vi è una minima escursione termica tra il giorno e la notte.
La pianta richiede scarse attenzioni di coltivazioni e fornisce da tre a quattro raccolti all’anno, notevole vantaggio che poche altre varietà arboree possono offrire. Se non viene potata, la pianta coltivata può svilupparsi fino a 3,5 m di altezza, per cui l’albero viene cimato fino a ridurlo ad un’altezza di 90-100 cm mantenendolo così ad un’altezza raggiungibile e costringendolo a ramificarsi verso l’esterno, ad ispessirsi ed a produrre più foglie.
La foglia verde, lucida nella pagina superiore ed opaca in quella inferiore, varia di dimensioni e forma a secondo le sottospecie di E. COCA a cui appartiene, ma generalmente è ovale, appuntita all’estremità esterna e profondamente segnata da una vena centrale; lunga da 2-10 cm e larga da poco più di 1-5 cm ed è la parte redditizia del raccolto.
   L’esistenza e l’uso della foglia risalgono almeno ad un migliaio di anni fa, in quanto indispensabile nelle cerimonie religiose degli incas degli altopiani. Nel XVI° sec, i conquistadores spagnoli che volevano imporre la loro morale, ne scoraggiavano l’uso tra gli indios che lavoravano come schiavi nelle miniere d’oro del re, finchè non scoprirono il suo potenziale come incentivo nella giornata lavorativa di ventiquattro ore!
Tuttora, diversi milioni di indios dell’altopiano masticano la coca per combattere la fatica e per anestetizzarsi contro la violenza dei venti e le gelide temperature di altitudini che arrivano a tremila m s.l.m.: è per tirarsi su di giri!
Le foglie vengono fatte accuratamente seccare sopra un fuoco o al sole, poi lasciate “sudare” per almeno tre giorni, finchè da secche diventano flessibili. Il masticatore indio di coca, coquero, mastica la sua dose di foglie insieme con una pasta di cenere alcalina o con un pezzo di limetta, ingredienti che liberano gli alcaloidi contenuti, dei quali almeno quattordici sono stati isolati in laboratorio dalla foglia, ma solo uno di essi è cocaina. Al naturale, la pianta contiene solo dallo 0,5 all’1,5% di cocaina, un alcaloide amaro, per cui gli indios preferiscono le foglie più dolci in quanto ne contengono meno.
L’infuso del papa Leone XIII°, VIN COCA MARIANI, era preparato con le foglie e non, come si è sempre comunemente ritenuto, con la cocaina pura: era un tonico per il quale il farmacista parigino Angelo Mariani sceglieva soltanto le foglie più dolci e pertanto era stimato per il suo valore terapeutico da molti uomini potenti della società europea del XIX° sec.
   Nella sua forma naturale, la coca è piuttosto nutriente. Contiene vitamina C e molte altre vitamine del gruppo B, in quanto essendo uno stimolante che non da assuefazione, è raccomandata nella preparazione di innumerevoli farmaci terapeutici nella medicina moderna. Guarisce il mal di montagna, tonifica tutto il tratto digestivo ed aiuta a mantenere sani la bocca ed i denti: proprietà che risultano dall’interazione tra la cocaina e gli altri componenti presenti nella foglia.
Secondo il dottor Andrew T. Weil, acuto ricercatore presso il museo botanico dell’università di Harvard, afferma che  “ … se esiste un problema cocaina, consiste nella confusione tra la foglia intera ed un singolo componente che è stato isolato: tale confusione è un retaggio della cattiva informazione scientifica del secolo scorso, che ci ha imposto un’insidiosa polvere bianca privandoci dei benefici di un’utile medicina verde”.
E questo ci porta, immancabilmente, ad esaminare “l’insidiosa polvere bianca” quale forza maligna immotivata che si chiama appunto, cocaina, alla quale viene attribuita la caduta di più un’anima sventurata, ma che, sotto tutti gli aspetti, è molto meno maligna di quanto si maligni su di essa.
   La coca arrivò nell’Europa occidentale insieme col sangue e l’oro degli incas, ma soltanto nel 1885, uno scienziato tedesco di nome Gaedcke, isolò per la prima volta un alcaloide che chiamò ERYTROXYLINA dal nome generico della pianta classificata da A. L. de Jussie ed elencata nell’Encyclopédie Méthodoque Botanique di Lamark, col nome scientifico di ERYTROXYLON COCA, nel 1783.
Il nome della specie, coca, è spagnolo e deriva dalla parola di lingua quechua KUKA, poi da CUCA, che significa albero: l’albero più importante per gli incas, ed è dallo spagnolo che un altro scienziato tedesco, il chimico Niemann, purificò l’alcaloide di Gaedcke nel 1860, ne derivò il nome di cocaina.
La cocaina è un composto organico cristallino, C17H21NO4 - benzolimetilecgonina, un estere di ecgonina, una base amino-alcolica ed acido benzoico. Nella sua forma pura, è bianca con cristalli oblunghi a forma di prisma, mentre il comportamento chimico è quello di un idrato di carbonio con gli altri elementi che la compongono quali oltre al carbonio, idrogeno, nitrogeno ed ossigeno che legati da covalenze, hanno gli elettroni in comune. Essendo un alcaloide, la cocaina è, per definizione, una base organica complessa; il suo pH è maggiore di sette per cui tendente ad una naturale basicità ed in soluzione fa diventare blu la cartina di tornasole. E’ solubile in acqua e cedendo una coppia di elettroni non liberi, reagisce con un acido formando un sale; è amara al gusto e quando è libera è un carboidrato; non contiene grassi né proteine: una dieta di cocaina deve essere completata con altro cibo per mantenere in vita. Questo era quanto sapeva Niemann nel 1860: questo e poco più.
   Soltanto ventiquattro anni dopo, da un medico viennese di ventotto anni, che non si distinse mai per il suo amore per la tradizione, esaminò la cocaina per la prima volta in modo più approfondito, si seppe qualche cosa di nuovo a proposito di quella droga. E dalla pubblicazione di “Uber Coca” di Sigmund Freud e dei cinque saggi che seguirono, usciti tra il 1884 ed il 1887, non è più stato fatto alcuno studio ufficiale sull’effetto della droga sugli esseri umani.
Nel 1974, centoquattordici anni dopo la scoperta della cocaina, novanta dopo Frued e sessanta dopo che il governo degli Stati Uniti, preso da una prorompente mania di giustizia, aveva cominciato ad investire massicce quantità di denaro per far rispettare le leggi che proibivano il possesso e la vendita della cocaina, il dottor Robert Byck, farmacologo della Yale School of Medicine, ebbe un contratto di duecentomila dollari dal National Institute on Drug Abuse, per studiare gli effetti acuti della cocaina sull’uomo. I saggi di Freud sulla cocaina, scritti mentre vari chirurghi la stavano sperimentando come anestetico locale, descrivono in dettaglio i risultati della ricerca da lui condotta su se stesso e su un collega, rimangono l’unica fonte di dati empirici a disposizione degli scienziati moderni. Ciò che oggi si sa della cocaina sono soprattutto dicerie. Le ricerche di prima mano di Freud e le prove cliniche che ha fornito, sono rimaste sepolte per anni: a lui sopravvisse soltanto il folclore!
   La cocaina, assunta internamente, sia in forma di cristalli che in soluzione, agisce come stimolante del sistema nervoso periferico. L’azione assomiglia molto a quella di altri farmaci antidepressivi. La norepinefrina, o noradrenalina, è l’ormone prodotto dai nervi del simpatico con terminazioni periferiche ogni qualvolta vengono stimolati e che causa un rialzo della pressione sanguigna, normalmente viene assorbita dal nervo così rapidamente che la reazione è impercettibile: la cocaina rinforza lo stimolo inibendo il riassorbimento di questo componente naturale da parte del nervo stesso, per cui inibisce la conduzione degli impulsi lungo le fibre nervose del corpo.
Non ci sono prove cliniche per sostenere che un simile processo avvenga anche a livello del sistema nervoso centrale, ma è sempre più avvalorata l’ipotesi che possa essere così. Inoltre, poiché non vi è nessuna prova concreta inerente al fatto che la cocaina aumenti la forza di contrazione muscolare, si presume che la capacità della droga di alleviare o ritardare l’affaticamento risulti da una decisa stimolazione centrale, la quale maschera tale sensazione.
Mentre la pressione sanguigna aumenta notevolmente, la temperatura corporea, a causa dell’accresciuta attività muscolare sotto stimolazione nervosa e della diminuita eliminazione di calore dovuta alla vasocostrizione, sale, in quanto la cocaina è notevolmente pirogenetica: il battito del cuore accelera, le pupille si dilatano e ci si sente su di giri!!!!
   Il corpo metabolizza molto rapidamente la cocaina e la salita è breve, in quanto ha un effetto più rapido se iniettata o strofinata sulle gengive, e meno rapido se viene inghiottita, poiché è idrolizzata nel tratto gastrointestinale, lo stomaco comincia a scinderla immediatamente anestetizzandone la parete.
Coloro che ne fanno uso inalandola, ricercano l’impressione di un veloce salire che interviene quando la polvere, dissolvendosi nel naso e nella parte superiore della gola, viene rapidamente assimilata nella corrente sanguigna con la sensazione di respirare liberamente e profondamente che si prova quando la cocaina restringe le membrane mucose e libera i bronchi. Quella sensazione di “fresco” molto apprezzata, è data dell’attutirsi della sensibilità che segue l’anestetizzazione della mucosa del naso: se si tratta di autentico freddo, è dovuto esclusivamente da un “taglio” pesante e marcato, non solo di vari componenti aggiuntivi per renderla meno pura ed accrescerne il peso, di novocaina o lidocaina.
La circolazione rapida della cocaina, generalmente definita “flash”, cioè come un lampo, è particolarmente intensa quando la droga viene assunta in soluzione per via endovena ed è sicuramente la più rischiosa. Allo stato attuale di grande e disperata diffusione di questa droga, la quale età di prima “prova” si è notevolmente e pericolosamente abbassata ai tredici/quattordici anni, e dalla varietà del tutto casule dei tagli a disposizione di qualunque spacciatore dalle cui mani passa la “neve” che si vende per strada, iniettarsela è veramente stupido: così pure fare uso di qualsiasi droga nella ricerca di qualcosa e sensazioni che nella vita di tutti i giorni non si riesce ad avere o percepire.
   Gli effetti della cocaina sull’individuo sono così sottili che molti non riconoscono le proprie reazioni finchè non vengono fatte loro notare. Un elevato numero di maniaci dell’acido, la maggior parte di quelli che amano i funghi allucinogeni, i tossicomani di qualunque genere, gli alcolizzati ed alcuni accaniti fumatori di marijuna, ritengono che la cocaina sia uno spreco di denaro e la detestano, in quanto non da alcun gusto! E’ una droga strettamente motoria e non altera le percezioni, non ti carica, niente visioni, nessuna distorsione spazio-temporale, nessun pericolo ne divertimento e tantomeno gusto se non quello di alterare il proprio equilibrio psico-chimico. I recidivi consumatori di cocaina sono soggetti a depressioni suicide se privati della droga, poiché non da assuefazione e non sviluppano una tolleranza fisica. Qualsiasi “brama” di cocaina nascerà con lo stesso meccanismo psicologico con cui si sviluppa il desiderio impellente ed irrazionale di denaro, di sesso e di dolci. Ne la cocaina è un afrodisiaco in quanto non vi è nulla nella composizione chimica, a parte le sue naturali proprietà stimolanti del sistema nervoso periferico ed efficaci sull’umore, che possano in qualsiasi modo indicare che la sostanza aumenti la risposta sessuale nell’uomo, anche se far entrare in circolo in qualche secondo cento euro di una dose e rischiando cinque anni di galera, deve pur avere qualche effetto sulla libido! La maggior parte delle dicerie sulla droga, compresa quella della sua proprietà di prolungare il rapporto sessuale, non sono altro che emerite panzane.
L’inalazione, se protratta per lungo tempo, irrita e danneggia irreversibilmente il tessuto del naso, specialmente il setto nasale: la vasocostrizione divenuta cronica, da luogo ad ischemia e susseguente rilasciamento della mucosa che protegge il setto, il quale non essendo vascolarizzato, ne è la causa della perforazione. Inoltre, poiché la cocaina viene scissa e detossificata dal fegato, crea grossi problemi epatici attivando serie e complesse mutazioni del regolare funzionamento di questo importante e determinante organo.

   Ci sarà pure una ragione per aver chiamato la cocaina “NOSE CANDY”, leccornia per il naso! Piace e fa sentir bene, in quanto da, oltre alla spinta caratteristica dolce e sottile, quell’urto psichico che accarezza la mente ed infonde potenza trasportando al di là dei sogni appunto: alla ricerca del paradiso!

mercoledì 24 giugno 2015

CONFERENZA STAMPA DE CLUB DEI SAPORI

Club dei Sapori
ASSOCIAZIONE PER LA TUTELA E RIVALUTAZIONE DEL PRODOTTO TIPICO E DELLA RISTORAZIONE

Comunicato Stampa
Rinnovate le cariche dell’Associazione del Club dei Sapori


   Il Consiglio Direttivo del Club dei Sapori si è riunito in questi giorni dopo l’evento di Arte&Cibo tenutosi di recente a Pieve di Cento (Bo) per rinnovare i ruoli dirigenziali ed assegnare le cariche per il prossimo quinquennio 2015-2020.
   E’ stato riconfermato alla Presidenza Giulio Biasion, editore e giornalista, ideatore di numerosi eventi realizzati dall’Associazione negli ultimi anni, sempre ben coadiuvato dagli altri membri del direttivo; si occuperà di rapporti con enti locali, itticoltura d’acqua dolce, rapporti con le delegazioni regionali, settore ospitalità.
   Tra i soci fondatori Piero Valdiserra, neo Segretario Generale del Club, avrà la delega in particolare all’area marketing e allo sviluppo del brand “Balla degli spaghetti alla bolognese”, nonché come relatore a vari eventi. Una piacevole novità viene da una qualificata presenza femminile: la giornalista Donatella Luccarini, nominata Vicepresidente, si occuperà di cultura, rapporti con enti turistici esteri, social network, sport e cene associative.
   Gli altri consiglieri riconfermati sono: Gianni Biagi, rapporti con enti locali e settori cinema e musica; Umberto Faedi, settore vino, cene associative, iniziative varie “Balla spaghetti”; Enrico Gurioli, settori ittico marino e oleario; tre i nuovi consiglieri a cominciare da Pier Leandro Guernelli, rapporti con aziende alimentari, sponsorizzazioni e segreteria cene soci, quindi Franco Mioni, ristorazione, sviluppo iniziative “Balla spaghetti”, tour gastronomici e serate, ed il maitre-sommelier Pier Luigi Nanni, settore vino, servizio a cene/eventi, rapporti con Istituti Alberghieri.
   Per il Comitato scientifico è confermato Presidente il Prof. Costantino Cipolla, docente alla Università di Bologna e Direttore del Master in discipline enogastronomiche, nonché grande esperto di alta ristorazione. Le Presidenze Onorarie furono state assegnate in passato a due illustri esperti di Milano: l’esperto di cucina mediterranea Flavio Zaramella, con delega alla sicurezza alimentare ed al settore oleario, e lo scrittore Carlo G. Valli, esperto delle tradizioni gastronomiche e degli antichi piatti.
   In merito alla “Balla degli spaghetti alla bolognese”, gruppo di appassionati raccoltosi a Bologna alcuni anni fa di cui ne faceva parte anche il mai dimenticato Giorgio Celli, una buona parte di loro è entrata a far parte del Club dei Sapori ed in sinergia promuoverà alcune azioni per utilizzare al meglio tale brand che contraddistingue il piatto di Bologna più noto all’estero, ma che proprio bolognese non è, se non per il ragù che lo differenzia dai suoi piatti similari.
L’impegno dell’Associazione bolognese si sviluppa non solo a livello locale, ma anche su vari ambiti regionali nel nord e centro Italia e vuole promuovere ulteriori iniziative in alcune regioni del sud nonché gemellaggi con alcuni paesi esteri.
Associazione Club dei Sapori - Via A. Murri 43 - 40137 Bologna - tel. 051/306112

e-mail: clubdeisapori@edihouse.it - www.clubdeisapori.com

venerdì 19 giugno 2015

ALTERNANZA SCUOLA - LAVORO

Alternanza scuola - lavoro
L'esperienza fiorentina nella grande bellezza e bontà
   Il 23 dicembre 2014 è stato inaugurato “La Prova del Nove” , primo ristorante in Italia creato e gestito attraverso un’apposita fondazione da un Istituto Professionale Alberghiero Statale. Si trovava a Firenze in via de’ Conti 9, a due passi dalla stazione di Santa Maria Novella e dal Duomo, operava in locali di proprietà dell’Hotel “Number Nine”.
Il dirigente del “Saffi”, Valerio Vagnoli, aveva presentato alla stampa il progetto che puntava ad unire didattica di alto livello e ricerca dell’eccellenza nella ristorazione.
   Sotto la supervisione di due docenti, gli addetti erano tutti ex-allievi e allievi del “Saffi”: sette diplomati sono stati assunti a tempo indeterminato e hanno già alle spalle numerose esperienze professionali, altri nove collaboravano come borsisti annuali: per loro, appunto, “La prova del Nove” che andava costituire una vera e propria scuola di specializzazione da cui usciranno con una professionalità molto alta. Inoltre, vi si alternavano come stagisti, con turni di quindici giorni, gli attuali allievi delle classi quarta e quinta dell’Istituto Alberghiero.
   Un notevole ed importante salto di qualità nel rapporto tra scuola e mondo del lavoro, che il sottosegretario all’istruzione, Gabriele Toccafondi, ha elogiato come esperienza esemplare da seguire.
Trattandosi di un’iniziativa senza fini di lucro, “La Prova del Nove”, pur puntando a un elevato standard qualitativo, poteva contenere i prezzi: un pranzo o una cena con primo, secondo e dessert si aggirava, a titolo indicativo, sui 35-40 euro; chi si limita a un primo oppure a un secondo con dessert, spendeva rispettivamente 20-25 euro e 28-30. Questo viene confermato anche a “La Menagere” , perché quanto si è detto sinora, è già ” storia”.
Il 18 giugno 2015 infatti, il progetto si è ingrandito, anzi, più che raddoppiato. In Via de' Ginori 8 a Firenze, la nuova sede della “Prova del Nove” con le medesime caratteristiche, ma in un contesto straordinario, ha preso definitivamente vita. E' opera degli Arch.tti Luca e Marco Baldini, Studio q.bic, che hanno realizzato in soli tre mesi effettivi, uno spazio comprendente bar, ristorante, spazio music jazz, flowers (Artemisia).
Dai lavandini-tegami utilizzati nelle toilettes, all'idea di “non finito” con colonne ed orchidee che mostrano non solo la bellezza del fiore, ma anche quella delle radici, alla luce ed al buio, giocati su linee d'ombra complici di atmosfere sia di giorno che di notte, potremmo dire che si tratta di un ambiente unico che sta facendo scuola e piacevole riferimento ai ragazzi dell'Alberghiero. Poiché la cucina, come ci è già capitato di affermare, non è “fare da mangiare” ma espressione del bello, in quanto solo il bello ha in sé il buono, come già affermavano i greci nel classicismo.
Gli artefici di quanto, gli architetti Luca e Marco, hanno capito come si può contestualizzare il buon cibo con l'alta cucina e che, come tutti i lavori intelligenti, non si impongono ma restano defilati eppure determinanti.
”La Menagere” diventa ora, dunque, la sede dell'Accademia di Cucina della Scuola Alberghiera “Aurelio Saffi” ed una parte dei ragazzi in stage saranno occupati anche ad ASMANA Wellness World (Campi, Firenze, Via Michelucci), il centro benessere più grande d'Europa. Questi giovani neo-professionisti si occuperanno dell'area coffee-restaurant, food e cocktails condividendo con l'azienda il principio fondante dell'accoglienza, poiché l’Istituto Alberghiero è prima di tutto proprio accoglienza.
   ”Lavorare per ASMANA significa ascoltare senza presunzione, comprendere con rispetto e crescere insieme agli altri”. Questo principio di cui Asmana si fa propria e convinta portavoce, è altamente condiviso in tutti gli obiettivi educativo professionali delle Scuole Alberghiere da sempre.
   ASMANA e l'attività che qui si svolgerà dell'alternanza scuola-lavoro, si inaugurano il 21 giugno.

Lorella Rotondi

giovedì 18 giugno 2015

GALLO NERO & GALLO BIANCO

Alcune preziose e doverose note inerenti all’attività professionale della collega e cara amica Lorella.
   Lorella Rotondi, giornalista pubblicista iscritta all’albo nazionale dal 2006, è docente presso l’Istituto Alberghiero “ A. Saffi” di Firenze.
Autrice per bambini, fra le altre, è sua anche la favola scientifica sullo zafferano dal titolo “Zaf E Rano - magia di un fiore”, del 2003, Edicolor Editori di Genova e la guida “Firenze raccontata ai ragazzi” del 2005.

GALLO NERO & GALLO BIANCO
   Prima della grande rivalità calcistica fra la viola Fiorentina e la bianconera Juventus, la Toscana fu afflitta da molti contrasti. Ogni contrasto prendeva un nome ed un … colore! Pare che anche un gallo nero ed un gallo bianco abbiano fatto la loro parte, determinando il simbolo del Chianti e delimitando la competenza territoriale senese da quella fiorentina. Tutto accadeva molti anni fa, ma “brucia” ancora, tant’è che ai senesi, cui capitò la parte minore, ancora sostengono che, però, sia di gran lunga la migliore.
Le vendite delle rispettive etichette non risentono granchè della crisi ed allora è una storia più lieta che triste, allora come oggi. E direi che di questi tempi ce ne sia davvero bisogno.
   Nell’accordo di Fonterutoli, dunque, tra senesi e fiorentini, fu deciso che nel Chianti il confine tra le due città sarebbe stato il punto di incontro di due cavalieri partiti da Firenze e da Siena al primo canto del gallo.
I fiorentini scelsero un gallo nero e lo tennero al buio e a digiuno, tanto che a causa della “fame” cantò molto prima dell’alba. Il cavaliere fiorentino partì così molto prima di quello senese e l’incontro avvenne a Fonterutoli, pochi chilometri dalle mura di Siena. Fu così che il Chianti, siamo nel XIII° sec, passò quasi tutto sotto la Repubblica Fiorentina. Sul confine delle due Repubbliche vennero costruite due linee fortificate: quella fiorentina era costituita da castelli di Brolio, Cacchiano, Monteluco, Montecastelli, Montemarchi e Tornano che si fronteggiava con quella senese formata da Aiola, Civitamura, Cerreto, Selvole e Sesta.
Nel XIII° sec la Repubblica Fiorentina divise il suo territorio in giurisdizioni autonome, dette Leghe: quella del Chianti, comprendente ben 70 aree abitate ed attivamente lavorate, venne poi divisa in terzieri che facevano capo alle più importanti località della regione: Radda, Gaiole e Castellina. A causa della nascita di questi nuovi centri di potere, i plebati subirono modifiche territoriali e certe funzioni laiche passarono alle leghe.
A partire dalla metà del ‘400, anche il Chianti fu sconvolto da quelle guerre che coinvolsero tutta l’Italia.
Con la caduta della Repubblica Senese nel 1550, finirono lotte e competizioni e iniziò per il Chianti un lungo periodo di pace. I castelli persero la loro funzione militare e si trasformarono in fattorie. A partire da questa epoca in Italia e all’estero cominciò a diffondersi la fama del più tipico prodotto del Chianti: il vino.
   Fino agli anni ’50-’60, nei quali la mezzadria si è dissolta, il mondo contadino è stato caratterizzato dall’attività di tutte le famiglie dei mezzadri. Durante questo periodo sono nate i proverbi campagnoli che si riferiscono al bisogno come “ … bisognino fa trottare anche la vecchia … “, oppure “ … il bisogno alimenta la volontà e aguzza l’ingegno … “ in quanto non sono nati per caso, ma dalla dura esperienza di vita delle famiglie.
Così altre regole le troviamo nei seguenti modi di dire quali “ … chi ha tempo non aspetti tempo …”; “ … vale più una cosa fatta che cento da fare … “; “ … avessi e fossi è il patrimonio dei bischeri … “ ed innumerevoli altre che sono ancora oggi nel lessico della Toscana tradizione e non solo, poiché le ritroviamo usate anche in altre regioni dell’italico territorio.
   Anche questi proverbi sono nati dalla pelle dei contadini. Nei primi anni del ‘900 nacquero anche le prime leghe contadine e furono fatti i primi scioperi. Queste lotte portarono a notevoli miglioramenti, ma con l’avvento del fascismo tutte le conquiste vennero perse e nel dopoguerra i giovani delle famiglie contadine, stanchi di aspettare riforme che non arrivavano mai, migrarono verso i centri urbani, dando luogo al fenomeno di una diffusa urbanizzazione.
Nel tempo, queste colline del Gallo Nero che avevano dato i natali a Giovanni da Verrazzano, navigatore e scopritore, 1524 circa, della baia di New York che tra il 1959 ed il 1964 gli ha dedicato “Verrazzano Narrows Bridge” da cui parte la nota maratona; a Bettino Ricasoli, soprannominato il Barone di Ferro, proprietario del Castello di Brolio, che dettò la formula del Chianti Classico: sette filari di uva sangiovese, un filare canaiolo nero, un filare di malvasia toscana ed un filare di trebbiano toscano, fu il secondo presidente del Consiglio del Regno d’Italia e che non sappiamo per certo se pretese, come si narra, ancora lo ius primae noctis, mentre si sa certamente che nel 1867 il vino di Brolio ottenne la prima medaglia d’oro all’Esposizione Internazionale di Parigi; alle donne del popolo ma audaci e rivoluzionarie, che nel 1917 scesero in piazza a Greve in Chianti per gridare a gran voce il loro basta! alla guerra che strappava loro mariti, figli e chiesero pure maggior rispetto della propria figura manifestando il loro motto “guerra alla guerra”.
   Oggi è un territorio amante delle tradizioni, Comuni Slow Food, OGM free, si prediligono la filiera corta, il porta-a-porta o il differenziato, dicono “no all’inceneritore”, ospitano un’alta percentuale di residenti inglesi e tedeschi, sottolineano che l’attuale Presidente del Consiglio è nativo d’altri poggi, noti più per l’ottimo olio che per il vino, che Sting abita nei pressi ma che è già in Valdarno e lì c’è nebbia ma tutto questo è un’altra storia.

Lorella Rotondi

venerdì 12 giugno 2015

LEOPARDI AMAVA I TORTELLINI ... E NON SOLO

Leopardi amava i tortellini … e non solo
   E’ stato questo anche l’anno di Giacomo Leopardi col film di Mario Martone, “Il giovane favoloso”, interpretato magistralmente da Elio Giordano. Nelle scuole alberghiere italiane è stato affrontato un aspetto inedito e solo trasversale nel film della vita di Leopardi: la cucina, il gusto, il rapporto col cibo ed il poeta.
La cucina e la passione per la tavola rivela tanta umanità, con la sua forza e fragilità, con le sue virtù e contaminazioni, di artisti, poeti, scrittori e di uomini qualunque.
Nel film, durante una visita medica resasi necessaria durante il suo soggiorno napoletano, Giacomo confessa una dieta sostanzialmente proteica e scarsa di verdure e frutta e pertanto viene rimproverato dal medico che lo sollecita a stare lontano dai dolci. Verrà immediatamente ignorato ogni buon consiglio, visto che nella scena successiva lo vediamo intento a consumare un gelato alla crema.
Libertà artistiche come mostrarci che a Recanati, un Leopardi già adulto, si facesse tagliare la carne dal padre con gesto quasi materno? No di certo. Domenico Pasquariello “ Dègo” e Antonio Tubelli hanno pubblicato un volumetto dal titolo molto semplice,“ Leopardi a tavola”, Fausto Lupetti editore di Bologna già nel 2008, in cui sono riportate le quarantanove ricette scritte di pugno dallo stesso poeta. Una lista silenziosa, senza commenti, senza aggiunte, ma sufficiente per offrirci qualcosa di nuovo, di non detto su Leopardi? Probabilmente sì. E risulta che “il piacere” assaporato, quando poteva, lo consolò e lo curò , come capita quando qualcosa non ci nuoce. Vero è, intanto, che non ci sono “concessioni” marchigiane, quindi non ci sono nostalgie “ di casa” nemmeno in questo senso. Non perché la cucina marchigiana non sia ricca di prelibatezze, ma perché nell’austera casa Leopardi non venivano frequentate. Giacomo a Napoli incontra Pasquale Ignarra, “patriota al novantanove (1799) e per giunta finissimo cuoco” e con lui ha scoperto che il buon cibo aiuta a vivere. Dall’ottobre del 1833, Leopardi soggiorna in varie dimore intorno a Via Toledo. Nella Primavera del ’35 si ritira con Ranieri e sua sorella, nonché Pasquale a Capodimonte. L’elenco inizia con tortellini di magro. Dal nono al dodicesimo ci sono prelibate “frittelle” di riso, semolino, mele e pere, borragine. Le uova sono solo al numero 35 della lista e sarà da tenere a mente quando le avremo al primo posto nella lista delle preferenze di un altro letterato.
La parentesi a Torre del Greco fa vivere questo anomalo gruppo sociale che ha il suo fulcro intorno a Giacomo Leopardi, momenti profondamente incisivi per tutti. Leopardi conversa con Pasquale che lo custodisce con le sue semplici eppure ricche prelibatezze, tant’è che Giacomo gli fa comprendere quanto valore ci sia in un piatto: il tempo, la terra che si è fatta “appetibile”grano, farine, prodotti dell’orto e poi i pesci del mare ed il senso e significato della pulizia. Solo così si approdava allo stufatino di pesce, al timpano di tagliatelle, al cacio cotto consumato sotto le pendici del Vesuvio che a breve ispireranno al poeta il capolavoro “ La ginestra”, dove tanta solidarietà insita nel messaggio testamentario di Leopardi ha avuto anche un sommesso profumo ispiratore proveniente dalla cucina di Pasquale.
Pasquale Ignarra, dunque, è stato per Giacomo Leopardi lo scalco, il gentiluomo che sovrintendeva alla cura, filologicamente è anche un modo per dire “ amore” alimentare del Conte Leopardi e, forse, gli gnocchi al latte, la zuppetta di selleri, la trota carbonata o la spumetta di prosciutto o i biscotti di Gragnano hanno fatto la differenza tra mangiare e gustare, come c’è differenza tra cucinare e fare da mangiare.


Lorella Rotondi

domenica 7 giugno 2015

SE SCATTA L'ORA DEL MERITO, CHIEDIAMOCI SE ABBIAMO MERITO

SE SCATTA L'ORA DEL MERITO, CHIEDIAMOCI SE ABBIAMO MERITO

   Mercoledì 20 maggio è uscito un interessante articolo di Antonella Landi a pag. 11 del Corriere Fiorentino, intitolato “Presidi e Prof, se a scuola scatta l'ora del merito”.
A quell'articolo, nato da un corso di aggiornamento per giornalisti tenuto da un dirigente illuminato di una scuola fiorentina, vorrei rispondere, da collega di scuola e di giornalismo, con un altro articolo ispirato sempre da un corso di formazione successivo che ho potuto seguire.
   Premetto che nella sostanza condivido così tanta parte dell'articolo che forse la scelta del mio corso è stato felicemente condizionato dallo stesso, se non fosse che al momento della lettura l'iscrizione era precedente di almeno dieci giorni. E questo per coerenza con la linea di principio della scuola in cui ora lavoro: prepararmi accuratamente prima ancora dei miei 89 allievi (quattro classi, quattro consigli, 4 possibili ambiti di Consigli straordinari). Il dirigente di cui parli e a cui ogni docente dovrebbe aspirare, a mio avviso, ha innanzitutto un grande pregio: essere sempre in dialogo con tutto il personale docente. E' un docente che non occorre incontrare: è con te, sempre. E di fronte ad una difficoltà, scopri che ti ha preceduto, l'ha prevista: c'è una circolare, fra le 557, c'è un documento sul sito, c'è un collega–collaboratore in grado di darti una mano. Crea grande solidarietà un dirigente come tu lo descrivi , crea una scuola “ fatta dalle buone persone”, come dici, e aggiungi “ Beati quegli studenti e quegli insegnanti che hanno la fortuna di incontrarle”. Credo proprio di essere fra quei fortunati. Ma leggendo il tuo articolo ai miei allievi, è fra i giornali del progetto “Quotidiano in classe” del mercoledì per le mie tre quarte, non erano convinti come me.
Apprezzano, ad esempio, molte offerte della loro scuola, ma sostanzialmente a 17-18 anni hanno bisogno di guadagnare già qualcosa per non gravare sulle famiglie. A differenza dei licei e degli istituti tecnici che raccolgono mediamente allievi provenienti da ben altro tessuto sociale e culturale, questi ragazzi maturano prima l'idea di un'emancipazione economica. Un buona scuola deve tenerne conto, prevedendo, almeno, la possibilità di un rimborso-spese per lo stage.
E' un aspetto che si deve muovere parallelamente al modificarsi del far scuola diversa-mente e meglio. E' un modello statale e che, quindi, non deve gravare né sulla magra economia delle scuole, né su quella, altrettanto magra, delle famiglie.
Credo che le cose siano ben fatte se ben motivate.
   Gli apprendimenti fuori da scuola esulano dall'abbonamento trasporti che i ragazzi hanno e spesso dall'orario con inevitabili imprevisti e disagi. Il dirigente di cui parli forse è anche in grado di risolvere questo ed altri “piccoli” problemi del genere, ma sono assolutamente convinta che vada favorito lui come tutti gli altri Dirigenti arrivati ad avere registri elettronici senza essere ancora in città smart davvero e con apparecchiature vetuste, popolazioni scolastiche numerose ed affollate in aule non a norma per dimensione, areazione e inquinamento acustico, classi mediamente a “quattro velocità”, ad essere ottimista! fra allievi da potenziare/recuperare/alfabetizzare e sostenere, senza aule magne degne di questa definizione, per cui ogni iniziativa va proposta selezionando le classi o affittando spazi esterni. Potrei andare avanti ancora e ancora, ma concludo ribadendo il tuo concetto: io sì, sono certamente fortunata, lui no, visto le deleghe date da uno stato che controlla, promette modifiche strutturali e sostanziali che rimanda da decenni nonostante l'urgenza evidente.
Per quanto abili, i dirigenti sono e saranno, mai cammineranno sulle acque di cui si allagano regolarmente le palestre, mai sosterranno i soffitti che vanno cadendo. Ah, dimenticavo, il corso di formazione per giornalisti a cui ho partecipato, successivo all'aggiornamento come docente in sovrintendenza sull'alimentazione antica, egiziana, etrusca, “La via delle spezie, ambiente, territorio, sostenibilità, uso delle spezie in Italia e nella cucina Mediterranea” con lo Chef Carasso, cuoco kosher alla sinagoga di Firenze; Dilek Gulmen, esperta in cucina ottomana e cucina per ragazzi “ autistici”; Dottoressa Scatena esperta di nutroceutica e un pizzico di salute a tavola; Franco Polidori, presidente ARGA TOSCANA; Roberto Zalambani, Segretario Nazionale UNAGA insieme ad altre personalità del settore.
Usciamo dal corso di formazione consapevoli di praticare un ambito fra i delicati il più delicato: a cavallo fra ordini filosofici - il piacere ed il banchetto, il digiuno e la liturgia della purificazione, accoglienza e condivisione - e contaminazioni dei cibi, sabotaggi delle conservazioni, perdita di identità in cambio di una manciata di mosche.
Lorella Rotondi

martedì 2 giugno 2015

LE VIRTU’ DELL’OLIO D’OLIVA EXTRA VERGINE

LE VIRTU’ DELL’OLIO D’OLIVA EXTRA VERGINE
di Pier Luigi Nanni
   Alcuni giorni orsono, ho partecipato ad un’interessantissima tavola rotonda che si è tenuta nella sala congressi dell’Università degli Studi Facoltà di Medicina all’Ospedale Malpighi di Bologna, in cui si discuteva delle proprietà dell’olio d’oliva extra vergine ed i suoi benefici sull’essere umano. Ebbene, il dibattito ha posto in atto, senza ombra di dubbi, il beneficio che il consumo di tale prodotto esercita sull’intero corpo umano: a dir poco, è strabiliante!
Gli argomenti posti in essere, sono per gli addetti ai lavori, cioè gastroenterologi, luminari dell’alimentazione, cardiologi, angiologi e via dicendo, per cui chi come il sottoscritto è a “digiuno” di tali complesse trattazioni, si è basato su quanto riportato sulla cartella stampa e chiedere illuminazioni ad un medico amico seduto al mio fianco, pertanto ho cercato di “apprendere e capire” il più possibile, ma sinceramente, è stato molto, troppo complicato per riportare interamente quanto è stato enunciato sull’olio d’oliva extra vergine.
   L’olio extravergine d’oliva è l’unico olio presente nella dieta mediterranea, richiamandone pienamente la cultura e l’intrinseco spirito.
Condimento noto ed apprezzato in tutto il mondo, l’olio d’oliva extra vergine presenta innumerevoli virtù, in quanto deriva dalla semplice spremitura a freddo delle olive, senza apporto di nessun genere di additivo, per cui i suoi componenti nutrizionali si conservano per mesi.
L’apporto nutrizionale dell’alimento e le sue tante proprietà curative, sono ampiamente dimostrate da innumerevoli ricerche e studi scientifici: ricchissimo di antiossidanti, vitamina E, acido oleico, polifenoli, e di sostanze con proprietà antinfiammatorie, oleocantale, che apporta acidi grassi essenziali, ma che l’organismo non è in grado di sintetizzare da solo, pertanto è un supporto ideale per le vitamine liposolubili A, D, E, K. Queste proprietà decisamente uniche, rendono l’olio d’oliva extravergine un prezioso alleato della salute.
   Numerose ricerche scientifiche effettuate negli ultimi anni, dimostrano come l’olio d’oliva extra vergine sia un alimento significativo nel ridurre l’incidenza di numerose neoplasie. I risultati di un’analisi sistematica dei più importanti studi scientifici pubblicati sull’argomento condotti su circa 14500 individui, hanno ampiamente dimostrato che coloro che consumavano una quantità significativa  di olio d’oliva extra vergine presentavano un rischio minore di sviluppare una neoplasia, soprattutto dell’apparato digerente. Studi recenti hanno confermato i meccanismi biologici con cui i vari elementi contenuti nell’olio d’oliva extra vergine, sono in grado di realizzare un’azione protettiva antitumorale.
Si tratta dei fenoli liberi e coniugati [tirosolo, idrossitirosolo, secoiridoidi, lignani], dello squalene e del B-sitosterolo, oltre a tocoferolo e carotenoidi che sono noti agenti antiossidanti. Esperimenti eseguiti su cellule di carcinoma, l’acido oleico si è dimostrato in grado di ridurre notevolmente i livelli dell’oncogene Her-2/neu (cerb B-2), una proteina essenziale per lo sviluppo del carcinoma, iperespressa nel 25% delle neoplasie  e predittiva di una peggiore prognosi. Recentemente e sempre maggiormente avvalorato, è stato riportato che l’olio d’oliva extravergine aumenta la biodisponibilità nel sangue di altri componenti con un potenziale preventivo. La concentrazione nel plasma di licopene, di cui sono particolarmente ricchi i pomodori, ritenuto in grado di ridurre il rischio di sviluppare diverse neoplasie, aumenta drasticamente in seguito alla cottura del pomodoro in olio d’oliva extra vergine. Inoltre, la capacità antiossidante del plasma aumenta se il pomodoro consumato è stato preparato con olio d’oliva extra vergine rispetto ad altre tipologie di oli, anche se derivati dall’oliva o da altre prodotti vegetali.
Se sostituissimo con grassi insaturi, di cui l’olio d’oliva extra vergine è ricchissimo, appena il 5% delle calorie totali introdotte sotto forma di grassi saturi, potremmo registrare una drastica riduzione del rischio di carcinoma pari al 33%.
I suoi effetti benefici si esplicano in tutti gli apparati del nostro organismo.
- Protegge dalle malattie cardiovascolari: i polifenoli in esso contenuti favoriscono una maggior produzione di nitrossido, potente vasodilatatore, e prevengono dall’ossidazione delle lipoproteine LDL. Le LDL ossidate, altrimenti meglio note come il colesterolo “cattivo”, infatti, rappresentano le principali responsabilità della formazione della placca aterosclerotica con conseguente restringimento delle arterie ed insorgenza di malattie cardiache.
- Svolge un’azione benefica nello sviluppo del sistema nervoso, in quanto la sua composizione lipidica è simile a quella del latte materno, rendendolo un alimento essenziale nella dieta del bambino. In età adulta invece, ci preserva dalle malattie legate al rallentamento ed al deterioramento delle funzioni celebrali, come Parkinson e Alzheimer. Ciò è dovuto soprattutto all’azione antiossidante dell’acido oleico, dei polifenoli e del tocoferolo, cioè la vitamina E.
Tali malattie vengono determinate da un eccesso di radicali liberi che, legandosi con componenti essenziali della cellula nervosa, ne alterano la struttura  favorendo la degenerazione.
Un recente studio condotto dall’università di Chicago, ha scoperto come l’oleocantale, sostanza responsabile del sapore pungente dell’olio, quello che comunemente si percepisce al naso e nel palato, acidità ed aromi di carciofo fresco, interferisce drasticamente con l’azione di proteine neurotossiche coinvolte nel morbo di Alzheimer.
- E’ il più digeribile ed il più sano tra i grassi, in quanto ha effetto benefico su tutto il sistema gastrointestinale, proteggendone le mucose. L’acido oleico riduce la produzione di acido cloridico e quindi previene gastriti ed ulcere. Accelera il transito nel tratto intestinale favorendone la regolarità. Favorisce l’attivazione del flusso biliare e lo svuotamento della cistifellea, ostacolando l’insorgenza di calcolosi biliare.
- Rappresenta un elemento cardine della dieta del paziente affetto da diabete mellino, poiché riduce i livelli di zuccheri nel sangue e la resistenza all’insulina tipica di questa condizione. Ha effetto benefico sul nostro apparato osteoarticolare: l’olio d’oliva extra vergine facilita l’assorbimento della vitamina D e combatte l’osteoporosi; inoltre, grazie alla potente azione antinfiammatoria ed antiossidante svolta dall’oleocantale, è un efficace alleato terapeutico nell’artrosi.
- Protegge da numerose patologie infiammatorie cutanee quali psoriasi, acne, dermatite atopica ed alcune tipologie di eczema. La ricerca scientifica ha ampiamente dimostrato come lo squalene presente, possieda proprietà antiossidanti nei confronti delle radiazioni solari, in quanto riduce la produzione di radicali liberi a livello della pelle foto-esposta.
- E’ particolarmente adatto nella gravidanza grazie al suo rapporto ottimale tra acidi grassi polinsaturi, saturi e monoinsaturi (acido linoleico, linolenico, oleico) ed ha la capacità di assicurare, come già annunciato, un buon rapporto di vitamine liposolubili quali A, D, E e K, di stimolare la mineralizzazione delle ossa e di prevenire rischi emorragici del nascituro. Proteggendo la mucosa gastrica, evita le esofagiti da reflusso, particolarmente frequenti nell’ultimo trimestre. Inoltre, contribuisce a prevenire alterazioni metaboliche abbastanza frequenti come il diabete gestazionale e la stipsi.
   L’olio di oliva extra vergine è la “bandiera” della salute, peccato però che i consumatori ne utilizzino ancora molto poco e trascurino quel genere di alimentazione riconosciuta in tutto il mondo per le innate proprietà benefiche che la  “MEDITERRANEA” ci dona.


I VINI DELLA DINASTIA DEGLI SFORZA

I VINI DELLA DINASTIA DEGLI SFORZA
- Storia e Passione -
di Pier Luigi Nanni.

    Recentemente sono stato invitato, in veste di addetto stampa dell’agroalimentare, ad un convegno il cui argomento era la presentazione di cinque vini inneggianti alla famosa dinastia degli Sforza di Milano: ebbene, la curiosità è stata tanta!
Il dibattito, che si è tenuto nella sala consigliare del comune di Cotignola, attiva cittadina della pianura ravennate nel cuore della solatia Romagna, si è dimostrato, fin dalle prime battute, interessante e professionale.

    L’originaria COTONIOLA risale ad un insediamento romano anteriore all’era cristiana e, tra alterne fortune, si arriva al 1411, momento storico determinante per i posteri. Papa Gregorio XII° cede, per i servizi svolti, la contea di Cotignola al capitano di ventura Giacomuzzo Attendolo, detto Muzio, mentre il soprannome di “Sforza” successivamente sostituirà il cognome e come tale sarà tramandato agli eredi.
Nel 1450, il primogenito di Muzio, Francesco Sforza, capitano di ventura come il padre, diede inizio al governo della dinastia Sforzesca nel ducato di Milano.
Con l’inizio del XVII° sec. Cotignola fu percorsa da un periodo amministrativo alquanto turbolento, passando sotto il dominio francese, al ducato degli Este, alla curia di Ravenna, agli spagnoli e nuovamente ai francesi ed ancora ai duchi di Ferrara ed allo stato pontificio fino al 1859, con l’annessione al Regno d’Italia.

    Oggi Cotignola vuole recuperare le proprie origini e tradizioni utilizzando lo “stile Sforza”: intraprendenza, determinazione, passione ed equilibrio, giungendo ad una territorialità in perfetta armonia per un neo rinascimento del nostro secolo.
Sono nati cinque vini dalle rare peculiarità con i vitigni prodotti esclusivamente nell’ambito del territorio a cui sono stati intitolati ad altrettanti personaggi della dinastia Sforzesca.

- CATERINA SFORZA - 1463/1509 -
Figlia naturale di Galeazzo duca di Milano, fu amata ed odiata dai sudditi per essere una donna determinata e passionale. Il suo spirito guerriero lo ereditò l’ultimo dei dieci figli, Giovanni de’ Medici, detto “Giovanni dalle Bande Nere”.
Il vino, che si ottiene in purezza dal “Trebbiano di Romagna”, si presenta giallo paglierino con nette sfumature dorate, brillante e vivo; marcati profumi floreali e fruttati, intensi e persistenti, fine; secco e delicata freschezza unita alla piacevole sapidità, sentori di frutta bianca matura e fiori campestri appassiti, nota finale di sottile aromaticità, ottima struttura e gradevole retrogusto di amarognolo appena accennato, raffinato.
Si sposa con antipasti di pesce, uova e primi piatti come i cappelletti in brodo ed i tortelli con ricotta e spinaci, mentre con carni bianche è unico!
Stappare al momento e servire a 8-10°C in stretti e luminosi calici.
- MUZIO ATTENDOLO - 1369/1424 -
Capostipite dei futuri Sforza, tra un’avventura militaresca e l’altra, si dimostra un abile amministratore.
Il vino dedicatogli, è ottenuto da un vitigno locale e della tradizione contadina, avente particolarità uniche, in quanto la “Canina Nera” è stato quasi completamente abbandonato, ma che in passato era tipicamente legato alla zona ed approfondite ricerche lo hanno riportato in auge. Il vino che ha il titolo alcolometrico alquanto limitato - 9-9,5% vol. -, si presenta rosso rubino dalle vivaci e tenui sfumature porpora, vivo e luminoso, evidenti profumi di frutta acerba con nota erbacea, ottima persistenza; secco con piacevole morbidezza e trascurabile tannicità, aroma di erba appena tagliata e delicato finale di piacevole freschezza, di pronta beva e non impegnativo.
Ottimo con antipasti all’italiana, cioè gustosi salumi, ma è con le tradizionali tagliatelle al sugo di fagioli alla maniera di Cotignola, che se ne esalta la piacevolezza; inoltre, perfetto per spuntini e momenti di relax.
Stappare al momento, fresco di cantina, e servire in medi calici.
- FRANCESCO SFORZA - 1401/1466 -
Governò Milano dopo la morte del suocero Filippo Maria Visconti: fu un vero signore e mecenate per le arti, letteratura ed ingegni italici.
Gli è stato intitolato un vino ottenuto da uve di “Ciliegiolo di Spagna”, da sempre coltivato in queste terre. Rosso rubino nettamente scarico, ha marcati profumi varietali del vitigno, la ciliegia selvatica ancora acerba, accattivanti e gradevolissimi, buona intensità e persistenza; al palato è secco con sottile freschezza e ragguardevole sapidità, mentre la tannicità è trascurabile, di media struttura e netti aromi di frutta rossa acerba, appunto la ciliegia, piacevolmente morbido e non aggressivo.
Da sempre è abbinato, oltre che agli antipasti di salumi, a cappelletti al ragù ed a stuzzicanti grigliate di maiale.
Fresco di cantina, stappare al momento e servire in medi calici.
- LUDOVICO SFORZA - 1452/1508 -
Il duca di Milano fu soprannominato “il Moro” e prediligeva la conoscenza, innovazione e la genialità umana quali Leonardo da Vinci.
Ed è per tali peculiarità che gli stato abbinato un vitigno internazionale come il merlot: in queste terre è coltivato già dalla fine del XIX° sec.
Vinificato in purezza, è rosso rubino intenso, con splendidi riflessi porpora; profumo tipicamente erbaceo, intenso e persistente, deciso e lungo finale di peperone verde, raffinato; secco, percettibile freschezza, sapido e giustamente tannico, di buon corpo con aromi erbacei dalla nota complessa e vegetale del peperone verde, nonché delicate sensazioni finali di spezie dolci, morbido ed armonico: perfetto se affinato per 4-5 anni.
Ottimo con primi conditi di intingoli saporiti e seconde portate di carni rosse e di cortile: eccellente col pollo, possibilmente ruspante, alla cacciatora!
Stappare un’ora prima e servire a 16°C in ampi calici per esaltarne le preziose rarità.
- GESFORZA -
È considerato il giusto vino per tributare onore e gloria a questa grande dinastia del rinascimento, che diede lustro sia all’economia che alla cultura italiana.
Il termine latino “GENS” nell’antica Roma, indicava un gruppo di famiglie risalenti ad un unico capostipite noto per onorabilità, signorilità, culti e tradizioni gentilizie.
Il perfetto uvaggio tra “Canina Nera - 50%”, “Ciliegiolo - 30%” e “Merlot - 20%”, conferisce a questo vino dal colore rosso rubino tenue e delicati riflessi porpora, evidenti sentori fruttati, floreali e nota erbacea, fine; è secco con sottile freschezza, sapido dalla piacevole tannicità, aromi di frutta acerba e fiori appassiti, nota finale e piacevole retrogusto di erbaceità, morbido ed equilibrato, avvolgente e di classe.
Se bevuto giovane, è perfetto con salumi appetitosi, primi piatti con sughi saporiti e successive portate di carni rosse sia ai ferri che arrosto o grigliate.
Servire in medi calici a 14-16°C stappato qualche attimo prima.

    Questi vini esprimono la passione per la fertile terra, l’amore per il proprio lavoro e l’operato che ne consegue, ma soprattutto è ammirevole l’impegno e la volontà di dare ulteriore prestigio ad una dinastia che, tramite la potenza militare e politica, diede tranquillità e prosperità favorendo l’economia e la cultura.