giovedì 19 novembre 2015

E' NATA UNA STELLA ... ANZI 5!!!

E' nata una stella … anzi 5!!!
Intervista allo chef del Cipriani, Angelo Formica
   Se da Perugia ci si dirige al west , per dirla alla Guccini, in approdo Adriatico, capita di fermarsi a prendere un panino per via. Ebbene, quel panino capita di prenderlo in una sorta di stazione di posta da circa quarant'anni: non è più un panino, è un rito: un rito di pane straordinario con un profumatissimo ciauscolo, una sorta di salsiccia barzotta o di molliccio salame, dipende dai punti di vista. Un piacere sublime. Capita di accompagnarlo alla Vernaccia di Serrapetrona, magari tempo fa, quando di palloncini se ne vedevano solo in alle fiere o sfuggire di mano ad un bimbo e salire ... salire ... salire. Ora acqua e si tira via. Basta il ricordo del vino.
In questa stazione di posta ci sono i prodotti straordinari della Valle del Menotre e, a seconda del periodo, sugo di cinghiale fatto dal titolare, asparagi selvatici sempre da lui raccolti e preparati, olio eccellente, farro, cicerchia, lenticchie. Nel tempo cresci e ti fai adulto insieme ai gestori. Capita di entrare in confidenza in tanti anni. Un tempo ci si aggiornava sull'Università, gli esami, la tesi. Nel tempo chiedi dell'amore, della gravidanza , io mi sposo, tu ti sposi. Loro che lavorano da sempre, tu che inizi quando loro la sanno già lunga del mondo, pur avendo la tua età. Poi il bambino; un Angelo di nome e di fatto. Rassomiglia equamente ad entrambi i genitori.
Un giorno vieni a sapere da un quotidiano umbro che quell'Angelo, visto in bottega sempre di corsa, poi lontano, a Londra e non lo vedi più, è al Cipriani. Ti fermi dall'amica che col padre di Angelo gestisce la stazione di posta e chiedi, “Ma Angelo, Angelo?“ “Sì Angelo Angelo”, abbassando gli occhi, come se una grazia fosse scesa e bisogna restare umili davanti alle grazie.
Provo a chiamare per un'intervista ; “non risponderà. Bah ... al Cipriani ... sai il da fare e poi i giovani di oggi ... provo lo stesso ... se è vero che i frutti non cadono lontano dall'albero, può anche essere come il babbo e la madre.
Ottime persone, lavoratrici, modeste e generose. Risponderà. Provo e ...
“Sono Angelo Formica, ho venticinque anni e vivo a Foligno. Ovvero ci vivevo. Ora vivo a Venezia. Segni particolari, Bellissimo, ma questo lo dico io”.
Angelo è modesto e tendenzialmente silenzioso come i genitori e come gli umbri.
Accetta l'intervista e racconta.
   “Quando ero piccolo, il mio sogno, come un po’ quello di tutti i bambini , era di diventare un calciatore. Avevo all’incirca otto anni quando cominciai a frequentare la cucina del ristorante di famiglia, ed allora, dentro di me, qualcosa cominciò a cambiare, a maturare: si stava pian piano accendendo e sviluppando il fuoco della passione.
Cominciai a capire che quella era una vocazione, la mia vocazione: portare avanti la tradizione familiare. I primi passi su quella che poi sarebbe stata la strada della mia vita, non furono, per così dire, incoraggianti: cercando di ‘sperimentare’, preparavo cose che il più delle volte risultavano immangiabili. Ma nonostante questo, o forse proprio per questo, sentivo che dovevo andare avanti, che quella era la strada giusta.
Da ragazzo poi, feci una scelta, o forse sarebbe meglio dire una ‘non” scelta, di cui ancora in parte mi pento. Il percorso fu tutto in salita. Mio padre restava l'unico maestro perché non mi iscrissi all’istituto alberghiero, ma paradossalmente questo fece scattare in me, ancora di più, la voglia di farcela da solo, di dimostrare a tutti, in primis a me stesso, che ce l’avrei fatta, investendo al cento per cento su di me.
A 21 anni, senza sapere nulla di inglese e senza aver un posto dove andare, partii per Londra: un gran coraggio? Forse incoscienza e determinazione insieme.
Mi ritrovai in una metropoli senza nessuno, né punti di riferimento. Ormai mi ero messo in gioco e proprio lì, all’ombra del Big Ben, trovai lavoro nella cucina di un ristorante. Stavo facendo il cuoco, con tutte le soddisfazioni e le responsabilità del caso, non ero certo come quando andavo ad aiutare mio padre per i servizi di catering. Restai a Londra per tre lunghi, durissimi anni. Spesso ho avuto voglia di mollare tutto, tornare e fare semplicemente il principe a casa. Capita nei momenti di nostalgia, di solitudine, di grande e sconfinata stanchezza.
   A te sembra che la gente si diverta, che i tuoi coetanei sono a spassarsela e tu con gli occhi all'orologio per la cottura e per il tempo che ti separa dalla vita senza cappello e senza grembiule da lavoro. Una doccia segna la linea sottile che separa il lavoro dalla tua vita di ventenne come gli altri: la musica, ballare, gli amici, le donne. Intanto cresci: inglese, cappello, grembiule, doccia. E poi ancora e ancora.
Tornai in Italia: ormai parlavo molto bene l'inglese e avevo un discreto curriculum che arricchii in Italia, selezionando le proposte che mi arrivavano.
   Mi sentivo un vero uomo, un ragazzo maturato, un cuoco con tutte le carte in regola.
La vita mi fece da scuola, maestra spietata che non rimanda mai le prove: ora, tutto e subito.
Mi rimisi subito a lavorare su e giù per l’Italia, poi il tanto atteso premio del destino: una telefonata, era un mio collega londinese che chiamò per dirmi che il Cipriani di Venezia, uno dei templi italiani della cucina, cercava un cuoco.
< Sono io > mi dissi senza esitare un attimo.
Colloquio di lavoro determinante, prova in cucina e ... una settimana dopo, ero già lì: il mio sogno di bambino si era realizzato!
   La tenacia paga sempre! Nel mio piccolo, vorrei dare un consiglio ai ragazzi più giovani di me. Credete sempre in voi stessi e andate avanti con umiltà. Non datevi per vinti dopo tante, estenuanti ore di lavoro, quando magari voi siete ai fornelli e tutti i vostri amici in giro a divertirsi, quando gli altri guadagnano il doppio e faticano la metà. Oppure non faticano affatto, perché nati meglio o senza voglia/bisogno di costruire qualcosa da sé, di capire qualcosa di sé. Bene, la vostra forza sta nella passione per questa professione, nobile ed antica, carica di onestà. Una passione che fa la differenza professionale. Mentre cucini ci metti sempre un pizzico di te e quello che sei conta. L'autenticità della tua passione conta.
Prima o poi, magari quando meno ve lo aspettereste, i risultati arriveranno, ne sono sicuro.
Buona fortuna a tutti.”
   Angelo è rimasto Angelo. Insiste sull'umiltà. Parla di passione, di onestà, di professionalità.
Andando lontano si conosce se stessi, si rafforza l'identità e si impara a comunicarla al mondo in ottimo inglese, ottima cucina.
Serietà professionale. Affidabilità. Tenuta dell'obiettivo. Angelo … a  cinque stelle!
Dovrò fermarmi la prossima volta a bere alla tua salute. Mi fermerò più a lungo a parlare con tua madre, così il palloncino non sarà un problema. E saremo orgogliose di te, ad occhi bassi, come l'Umbria, almeno quella più vicina ad Assisi ha da sempre insegnato.

Lorella Rotondi

ACETAIA BOMPANA

   Chissà cosa pensava o quale “viaggio” stava facendo l’autore, o l'autrice, della sottostante stesura per dimenticarsi le proprie generalità: sicuramente preso dalle intrinseche emozioni e sensazioni da trasferire il personale carme in un piacevole e “sottile” scritto.
Sapiente mixer di vita di tutti i giorni con quanto ha potuto gustare e vedere realtà uniche in cui percepirne cultura, amore e passione per il proprio operato il passo è stato breve, molto breve …

ACETAIA BOMPANA
   Emilia, terra di grandi prodotti alimentari, frutto di una tradizione familiare che viene tramandata da secoli e di un amore infinito per questi sublimi prodotti.
Proprio quest’ultimo particolare fa da motore alla produzione di questi prodotti, una vita dedicata a portare in tavola l’eccellenza e tenere alto il marchio “Made in Italy” sempre sinonimo e certezza di qualità.
   L’Acetaia Bompana ha proprio trasmesso questi valori alla nostra visita, accompagnata da profumi e colori caratterizzanti questa bellissima terra.
L’Emilia Romagna ha confermato ancora una volta di essere ai vertici della produzione di alimenti DOP, alimenti che, sono curati al minimo dettaglio nonostante restino tali da generazioni con cambiamenti che vanno ad intaccare solo piccole fasi della produzione.
Ciò permette all’ assaggiatore di fare un viaggio con il palato attraverso secoli, ed è questo viaggio che rende un prodotto eccellente, porta il cibo ad un livello superiore a quello di solo strumento per placare la fame, bensì ad un prodotto che trasmette sentimento ed emozioni.
Una disposizione perfettamente curata e controllata di batterie di botti è un’ennesima prova della dedizione che gli agricoltori emiliani mettono nel proprio lavoro, una disposizione che raccoglie mezzo secolo di storia della famiglia.
E’ proprio il tocco familiare e non industriale che da all’aceto quel gusto che non troveresti in un normale supermercato.
Per questo i nostri prodotti sono cosi amati all’estero, spesso ce ne dimentichiamo, ci dimentichiamo di cosa ha reso grande il nostro Paese e partendo dal passato, dalla nostra storia che possiamo superare questo momento difficile del nostro paese.
Un passato che ora dobbiamo fare nostro, rendendolo presente.

D’altronde ieri è il passato, domani è mistero, oggi è un dono … per questo si chiama Presente.

LA MODENA CHE SI RISVEGLIA

   Ciò che l’autrice del sottostante scritto, deduco che, anche senza avere nessuna conferma, sia la Sig. Na LOTTI, la quale poteva indicare le personali generalità, ma nessun problema: è così che sono i geni, appunto, genialità e sregolatezza …
Non ti sei fermata a riportare quanto degustato, visto e compreso in questo press-tour da parte di futuri dirigenti della ristorazione, in quanto indirizzata anche a ciò che la cultura e tradizione dell’agro modenese sa far trasparire, con molta difficoltà, in quanto introversa come una nobildonna.
Il paragone con la prosa del Leopardi è stato un vero tocco di classe: COMPLIMENTI!!!

LA MODENA CHE SI RISVEGLIA
   Perché parlare di questa città? Perché parlare di Modena?
Modena è una città che trasmette un’aria di tranquillità, di pace ma con una voglia di farsi vedere e di farsi sentire con passione attraverso l’attaccamento alla religione cattolica, al contributo donato alla manifestazione EXPO di Milano e alla presentazione come “città in vetrina”.
Città che ha voglia di migliorarsi, crescendo, non per ingrandirsi, ma per ampliare la propria mente; un grande cuore palpitante costituito di persone che si mettono in gioco per migliorarsi e per migliorare il loro “nido” comune e di cultura.
   Culla gastronomica insieme a tutta la regione dell’ Emilia Romagna, percorrendo le sue strade si assaporano e si percepiscono odori e profumi dei piatti tipici inebrianti.
Capitale della cultura nel futuro 2016, si adopera riducendo l’inquinamento dell’aria introducendo i filobus a corrente elettrica; ma queste sono soltanto alcuni avvenimenti che rendono questa città un esempio da seguire.
Il centro della città è preciso, pignolo, come pensato dalla perfezione fatta persona; la periferia, invece, disordinata, confusionaria, dispersiva e che disorienta. Questa città mi riporta alla mente le parole di Giacomo Leopardi tratte da “L’Infinito”:
“Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovraumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo; ove per poco
il cor non si spaura.”
                 
   Alla vista della città, mi sono venuti alla mente questi versi perché il centro di Modena, delimitato e preciso, è diviso da qualcosa di astratto come un muro che limita la visuale e, affacciandosi al di là di questo muro che fa da ostacolo, vedo la confusione infinita della periferia che inquieta.
Mi ha colpito molto il legame della società nei confronti del tenore Luciano Pavarotti con la presenza in tutta la città di poster, manifesti, foto-ricordo del grande artista, pertanto comprendo anche il legame di Guccini per questa favolosa città che lui stesso considera “ … piccola città, bastardo posto … ” riportato in un articolo di giornale di Roberto Armenia del 11/06/2015).
   Dopo aver visitato il centro e la periferia, ho pensato di effettuare il percorso di uno dei rami della cultura gastronomica della città e della regione: l’aceto balsamico tradizionale di Modena D. O. P.
Ho visitato l’acetaia di Bompana a San Donnino di Modena, vicino al centro-città. La signora che mi ha condotto nella visita della sua impresa, mi ha trasmesso la passione per la fabbricazione di questo prodotto e mi ha illustrato i delicati passaggi per produrre il balsamico al top. A gestione familiare da oltre 150 anni, ogni componente della famiglia possiede la propria batteria di botti di differenti tipologie di legno quali frassino, ciliegio, gelso, castagno e/o rovere, formate da 5 botti ciascuno e che hanno grandezza e capacità differenti: la prima botte ha una capacità minore fino ad arrivare alla quinta botte di capacità maggiore.
Il primo anno di vita, le botti vengono tutte riempite di mosto cotto delle uve tipiche di varie tipologie lambrusco, di trebbiano modenese, localmente chiamato “bianco di Spagna”, e di ancelotta, senza che subisca la fermentazione alcolica, perché le uve vengono pigiate prima che si trasformi in vino.
Ogni anno, dalla botte più piccola cui si effettua il prelevamento, la prima, verrà rincalzata con un po’ di prodotto della seconda botte e così via per le altre. La quinta ed ultima botte verrà rabboccata con il mosto cotto ottenuto da uva dello stesso anno della vendemmia.
Il Balsamico DOP vero e proprio, viene ottenuto dopo almeno 12 anni di invecchiamento mentre dopo almeno 25 anni si ottiene un extravecchio.
L’Acetaia Bompana produce ben 4 tipologie di Balsamico Tradizionale DOP:
- Balsamico Tradizionale DOP, da barili in attività da 12-24 anni;
- Balsamico Tradizionale DOP Extravecchio, da barili in attività da 25-40 anni;
- Balsamico Tradizionale DOP Extravecchio Oro in barili di rovere in attività da 55-65 anni;
- Balsamico Tradizionale DOP Extravecchio Antica Acetaia aventi barili in attività da 85-165 anni: fantastico, sensazioni inimmaginabili!
Inoltre, vengono prodotti Condimenti Alimentari che non hanno ottenuto la denominazione ma hanno una qualità comunque elevata e anche dei prodotti alimentari fabbricati con il balsamico come ad esempio i cioccolatini di cioccolato fondente al 64% con il Balsamico DOP Extravecchio.

   Questa uscita didattica con la mia classe mi ha permesso di conoscere una città che non avevo mai visitato prima e, come se non bastasse, ha permesso di lasciare in me un’impronta positiva di questa esperienza.

martedì 10 novembre 2015

11 NOVEMBRE "ESTATE DI SAN MARTINO"

11 NOVEMBRE   -  “Estate di San Martino”
Tra Leggenda e Tradizione
“ ... ma per le vie del borgo dal ribollir dè tini va l'aspro odor dei vini l'anime a rallegrar”. Chi non ricorda questi versi della poesia di Giosuè Carducci che tutti, proprio tutti, abbiamo imparato a memoria alle elementari? E come non ricordarsi della leggenda di San Martino che divise in due il suo mantello per riscaldare un povero mendicante e fu ricompensato dal Signore che inviò qualche giorno di clima mite e temperato mentre la stagione volgeva ai rigori dell'inverno?
   La leggenda del mantello di San Martino è molto antica e non si sa quando sia stata associata dalla memoria popolare e contadina al bel periodo che caratterizza la seconda decade di novembre che noi chiamiamo ‘Estate di San Martino’ mentre nei Paesi anglosassone viene definita Indian Summer: Estate Indiana. Sia come sia, San Martino e l'Estate Indiana vengono festeggiate a partire dall'11 novembre per la durata di tre o quattro giorni.
Martino, vissuto nel IV° sec e nato in Ungheria. Il padre, ufficiale dell'esercito romano, aveva dato al figlio il nome di Martino in onore di Marte, Dio della Guerra. Successivamente, la famiglia si trasferì dapprima a Pavia dove, all'età di quindici anni, Martino entrò nell'esercito. Da Pavia venne inviato in Gallia e qui si convertì al cristianesimo e divenne monaco nella regione di Poitiers. L'episodio del mantello avvenne quando Martino era ancora un soldato. Dopo aver ricevuto in sogno la visita del Signore, Martino prese i voti e si adoperò per la conversione al cristianesimo delle popolazioni galliche.
Nel 371 d.C. i cittadini di Tours lo vollero vescovo della loro città e si festeggia tale data della sepoltura di San Martino e la basilica a lui dedicata nella città fu a lungo meta di pellegrinaggi medievali.
In Italia San Martino è patrono di Belluno e di un centinaio di altri comuni. Il culto del Santo è tanto amato che si perde il conto delle feste a lui dedicate. La popolarità è confermata anche dai moltissimi proverbi dedicati a San Martino e alla festa dell'11 novembre: ”A San Martino uccidi il maiale e bevi vino”; “A San Martino ogni mosto diventa vino”. Ed è suffragata anche dalle centinaia di migliaia di ricerche con la parola chiave San Martino che già dal mese scorso sono state effettuate tramite i principali motori di ricerca.
Nata come festa di carattere religioso, la ricorrenza nel corso dei secoli si è trasformata in un evento di tipo enogastronomico.
Un tempo, l'11 novembre segnava per i contadini la fine di un anno di lavoro e il momento in cui scadevano i contratti agrari. Se il padrone chiedeva ai contadini di non rimanere per l'anno successivo questi dovevano traslocare e andare alla ricerca di un nuovo padrone e di un nuovo alloggio. Da qui il detto “ … fare San Martino” che è divenuto sinonimo di traslocare. Prima di partire si faceva una grande mangiata di arrosto di oca o di tacchino e tra i piatti tipici di questo periodo non mancavano quelli di maiale.
La tradizione racconta infatti, che i contadini, in occasione della fine dei contratti agricoli, pagassero l'affitto della terra al padrone in parte con la carne dei maiali che allevavano e macellavano proprio durante i giorni dell'estate di San Martino: il clima mite di questi giorni permetteva una ottima macellazione delle carni.
Alla scadenza dei contratti, si aprivano anche le botti per assaggiare il primo bicchiere di vino nuovo accompagnato dalle castagne e dai dolci tipici del periodo. Ogni Regione italiana ha le sue usanze e le proprie rievocazioni storiche della leggenda del Santo e ogni città o borgo, festeggia l'Estate di San Martino che “ … dura tre giorni e un pochino … ” con sagre, eventi e feste che hanno come comune denominatore il vino, le castagne, i funghi, l'olio, le frittelle, i biscotti e centinaia di altre specialità locali.
L'atmosfera autunnale, il foliage, le temperature generalmente miti, la raccolta di funghi e castagne, la spremitura dell'olio, potrebbero essere uno stimolo interessante per scoprire le tradizioni legate alla festa di San Martino e pianificare un itinerario enogastronomico in una delle città italiane dove la ricorrenza è particolarmente sentita.
   Ad Ascoli Piceno c'è la tradizione di riunirsi la sera dell'11 novembre in famiglia o tra amici, per mangiare carne di maiale alla brace e caldarroste sorseggiando vino nuovo. Alcuni sostengono che la festa abbia origini longobarde.
   A Castiglione in Teverina, in provincia di Viterbo, dal 7 novembre al 9 di novembre, ha luogo ogni anno un evento gastronomico chiamato “San Martino, Olio, Funghi e Vino” con degustazione degli oli e dei vini locali. La festa è anche una ottima occasione per assaggiare il tartufo della Valle del Tevere ed altri prodotti tipici in una cornice di eventi folkloristici e musicali che offrono ai turisti l'opportunità di fare visita al Museo del Vino e delle Scienze agroalimentari o di percorrere la Strada del Vino della Teverina.
   A Clusone, in provincia di Bergamo, nel weekend più vicino all'11 novembre, viene festeggiata l'Estate di San Martino.
Sempre in provincia di Bergamo, a Leffe, la Basilica dedicata al Santo viene decorata con luminarie e archi trionfali e la sera del 10 novembre una processione si snoda per le vie del centro capeggiata dalla statua.
E' tradizione che nella notte tra il 10 e l'11 novembre, San Martino porti i regali a tutti i bambini.
   A Quinto Vicentino, nel fine settimana dell'11 novembre, ha luogo una festa contadina tradizionale dove vengono rappresentati gli antichi mestieri in costume d'epoca.
   A Venezia, i bambini battono tra di loro oggetti che fanno rumore come coperchi e pentole e chiedono ai negozianti ed ai passanti qualche soldino cantando una filastrocca in dialetto. Con i soldini ricevuti compreranno un dolcetto a forma di San Martino.
   A San Martino in Rio, R.E., si festeggia l'11 novembre mettendo in scena un corteo storico che rappresenta le gesta più famose del Santo, dalle battaglie all'episodio del mantello donato al povero.
   A Teramo si usa riunirsi, la sera dell'11 novembre, tra amici oppure in famiglia, in cucine, tavernette, locali rustici per mangiare carne alla brace, costolette, salsicce e i tipici arrosticini accompagnati dal vino nuovo. Le cene si concludono con caldarroste, chiacchiere e musica.
   Todi, nel perugino, l'11 di novembre si riempie di bancarelle che dalla centrale Piazza del Popolo si snodano in tutta la città.

   E voi cari amici, come festeggiate questa solennità? Raccontateci, le tradizioni delle vostre città e Buon San Martino!!