venerdì 27 aprile 2018

CRISTOFORO DA MESSISBUGO


Cristoforo di Messisbugo e il Rinascimento:
innovazione e genialità del desco
   Il più antico testo di gastronomia cortigiana conosciuto finora, è il “Liber de coquina” di un anonimo trecentesco scalco operante presso la Corte angioina, considerato, a parere degli esperti di cucina di allora, “ … il meno provinciale e il più aperto alle suggestioni di costumi cucinari di altri popoli”.
   Nei primi anni del XVI° sec, sempre a Napoli, però siamo alla corte aragonese di Re Ferdinando, Roberto da Nola stila un “Libro de cucina” nel quale prima del ricettario sono presentati i ruoli fondamentali e “… officiali della casa e quindi il protocollo della tavola con l’inserimento, per la prima volta, del trinciante” un addetto che nelle altre corti, compresa quella estense, troveremo più tardi.
   L’arte e il cerimoniale della tavola signorile nascono, probabilmente, lontano da Ferrara, ma qui conobbero una svolta decisiva in perfetta sintonia con la cultura artistica e letteraria che rigogliosamente fiorì nel corso del rinascimento. Il merito del salto di qualità culinaria, va senza alcun dubbio a Cristoforo di Messisbugo, il quale non fu un semplice cuoco, anche se ufficialmente il titolo di “CHEF” fu coniato durante e perfezionato dopo la rivoluzione francese del 1789, come gli autori quattro-cinquecenteschi che lo avevano preceduto, compreso il grande Maestro Martino da Como.
Era un gentiluomo pervenuto al grado di “SCALCO DUCALE” non soltanto in virtù della sua grande perizia nel confezionare vivande di ogni genere, ma anche per la sua esperienza diretta della vita di corte e, certamente, per gli incarichi che egli svolse lontano dalla città.
La superiorità rispetto agli autori precedenti, a prescindere dalle sue incontestabili capacità di regista del banchetto-spettacolo, appare nella maggior organicità che seppe dare alla sua opera gastronomica come dimostrano i titoli, la partizione e le sequenze degli argomenti trattati:
- Composizioni de le più importanti vivande - Torte di varie sorte - Ministre diverse - Ministre per di di Quaresima - Sapori da grasso e da magro - Potacci e roba in tiella e pignatta, stufata e al forno - Latticini di più sorte.
Inoltre, al di là delle vivande più ricorrenti che non si discostano molto nella struttura e nella prassi cucinaria da quelle di un Maestro Martino, soltanto a scorrere i cibi dei servizi di credenza appaiono evidenti un’originalità e una genialità di invenzioni che fanno del Messisbugo il vero fondatore del gusto moderno italiano.
   Moltissimi cibi e piatti di quell’epoca sono usciti dalle odierne consuetudine della tavola, in quanto sia trascurati che dimenticati, poiché non giustamente apprezzati non solo per le caratteristiche culinarie, ma soprattutto non considerati al passo col nuovo metodo di valutazione che la cucina di oggi impone. Una delicata ma saporita insalatina in pastello di capperi, tartufi e uva passa o un’insalata di polpa di fagiano e di cedri, non rappresenterebbero oggi come allora, il successo di un ristorante d’elite e “stellato”? Mentre i tortelletti di spinaci, le polpette di storione, la porchetta di latte con mostarda, dimostrano come Messisbugo sia presente nel desinare quotidiano.
   Messisbugo ha meriti fondamentali: oltre a offrire un compendio esemplare e più vasto della gastronomia europea rinascimentale, pone in evidenza la grandezza e l’italianità dei prodotti alimentari.
Le citazioni e le ricette di piatti dalla Lombardia alla Sicilia, dimostrano l’innegabile esistenza sul piano del gusto, di un’unità che va ben oltre le divisioni politiche. Ulteriore merito è quello di porre sullo stesso piano cibi nati espressamente per la tavola nobiliare e cibi popolari come minestre d’ortaggi o di legumi, tinche fritte, luccio in gratella e piatti simili di cui non riporta le ricette in quanto dice, “… da qualunque vile femminuccia si sapiano fare …”, ma non per questo meno degne della tavola del principe!
La vita di Cristoforo di Messisbugo
   Messi detto Sbugo, come si può leggere in numerosi documenti autografi, è nato sul finire del ‘400 a Ferrara e a detta di alcuni storiografi ferraresi, da una famiglia proveniente dalle Fiandre, anche se altre citazioni riportano che sia nato nelle Fiandre e successivamente stabilitosi nella città estense. Grazie al matrimonio con la nobile Agnese, figlia del Conte Giovanni Gioccoli, occupò importanti incarichi presso la corte degli Estensi, in qualità di amministratore dei fondi ducali e soprattutto nelle vesti di abilissimo scalco, da meritare il titolo di Conte Palatino concessogli dall’imperatore Carlo V° nel gennaio del 1533.
Messisbugo si perfezionò a tal punto nell’arte del taglio dei cibi che i suoi numerosi allievi divennero fra i Maestri di cerimonia più ambiti delle corti europee.
Morì nel 1548 e le sue spoglie mortali sono sepolte presso l’altare maggiore della chiesa di Sant’Antonio in Polesine, a Ferrara, dove una lapide commemorativa lo ricorda.
   A Ferrara, un anno dopo la sua scomparsa, gli editori Giovanni de Bughait ed Antonio Hucher, pubblicarono il suo ricettario “Banchetti, composizioni di vivande et apparecchio generale” comprendente tre distinte sezioni: un discorso introduttivo o “MEMORIALE PER FARE UN APPARECCHIO GENERALE”; un “CATALOGO DI DIECI CENE, TRE DESINARI ET UN FESTINO”, descritti in tutte le fasi operative con relativi abbinamenti di bevande, sia vini che liquori, ed una “RACCOLTA DI RICETTE”: ben trecentoquindici!
Questa opera culinaria fu un vero trattato di costume e un’esauribile fonte di notizie sul cibo, con preparazioni a volte elaborate e spettacolari che ben degnamente figuravano nei banchetti di corte: è unanimemente considerato uno dei principali testi di riferimento per la ricostruzione della storia gastronomica del XVI° sec, in quanto l’autore annotò scrupolosamente non solo le portate d’alta cucina di sua invenzione, ma fissa e raffina quelle popolari, adattando ai prodotti locali quelle forestiere ed esotiche. Il volume è anche una valida testimonianza delle modalità di approvvigionamento delle vivande, delle abitudini e delle suppellettili utilizzate in cucina in quell’epoca.
Questo gentiluomo di corte, oltre che del gusto, si interessava attivamente della vista e dell’udito, intercalando i lussuosi convivi nobiliari, con piacevoli intermezzi di danza o proponendo ricercate musiche e addirittura commedie.
Fondamentale, in quanto ricco di grazia ed eleganza, perfezionò il taglio dei cibi ma soprattutto quello delle carni, servendosi di venticinque coltelli, costruiti appositamente su suoi disegni, e forchette di vario genere, riuscendo così a “scalcare” le carni senza toccarli con le mani: seppe trasformare la trinciatura in un’arte sopraffina, elegante e ricca di abilità.
Alcune ricette dello scalco Cristoforo tratte dal volume “Libro novo nel qual s’insegna a’ far d’aqui sorte di vivanda”: dopo quasi cinque secoli, sono sempre stimolanti, attuali ma soprattutto gustose!
- PER FARE MACCHERONI - Piglia libre cinque di farina bianca et due pani bianchi grattati, et messedali bene insieme con la farina, et poi habbi l’acqua che bogli, et impasta insieme tre uova et fa la pasta che non sia dura ne tenera, et lasciala rafredare un poco, poi tagliala in pezzi tanto quanto è una castagna poi fa tuoi maccheroni su il rovescio della grattugia, e poi ponli a cuocere in acqua bogliente, et come seranno cotti, le porrai un poco di sale, et poi habbi di formaggio duro libre due e mezzo grattato, con oncia meza di pevere pesto messedato di sopra, ed libra una et meza di butiro fresco distrutto disopra, poi li coprirai con gli altri piatti, mettedoli in calda sino che vorrai mandare in tavola, et nell’imbandirli, se li porrai un puoco di zuccaro, et canella di sopra seran migliori.
- LOMBO DI BUE ALLEMANA - Piglia il lombo di bue grasso, ch’abbia del frollo, et nettalo bene da quelle pelegate, et nervi che ha attorno, poi battilo molto bene, et ponilo ammoglio in malvasia, et aceto, ma più aceto, con polvere di coriandoli, et finocchi et poco sale, et lascialo per spacio di cinque in sei ore. Poi ponilo ad arrostire nello spiedo, et come è cotto ponilo in un piatto, mentre si cuoce, poni nella giotta un poco di quello aceto e malvasia dove è stato ammoglio, et posto che lo havrai nel piatto ponili sopra detto sapore, che ponerai nella giotta con quello che serà, colato del lombo e coprilo, et lasciato attuffato così meza buon’hora.
- TORTA D’ERBE ALLA FERRARESE, O ROMAGNOLA - Piglia una brancata di bieta ben lavata, et trita molto bene, et ponila in un vaso con povine quattro fresche et quattro bicchieri di latte, et uova otto, et libre due di formaggio grasso, et una libra di butiro fresco, etun quarto di pevere pisto, etincorpora beneogni cosa insieme, et onta la padella con oncie tre di butiro fresco li porrai la prima spglia, et poi sopra la composizione sopradetta et distendila bene sopra la spoglia, poi havrai libra meza di formaggio tomino ben grasso fatto a fetine quanto si può sottili, et li stenderai sopra detta composizione, et li porrai poi sopra l’altra sfoglia facendoli l’ordello intorno, poi li porrai a cuocere, et quando serà quasi cotta lo porrai sopra oncie quattro di zuccaro, poi finirai di cuocere.