venerdì 5 febbraio 2016

Rubrica "SCRITTO DA VOI!!!"

SCRITTO DA VOI, amici gastronauti!!!
   Un caro e sincero invito agli“amici gastronauti” che ci vengono a trovare sul sito e se anche Voi avete storie, aneddoti, curiosità, ricette ed altro ancora dell’immenso mondo dell’enogastronomia, siete gentilmente pregati, se avete piacere, di inviarceli all’indirizzo – enotia@virgilio.it –
Saranno attentamente vagliati e se interessanti e piacevoli, fattore che non si dubita assolutamente, saranno pubblicati col nome dell’autore, nella vostra rubrica, appunto:
SCRITTO DA VOI, amici gastronauti!!!
Grazie di quanto amici cari, aspettiamo le“vostre personali” avventure, esperienze bacchiche e quanto altro, del meraviglioso mondo dell’enologia, gastronomia, alimentare e storicità ed altre infinite curiosità.


   Un sincero GRAZIE ai cari amici gastronauti che hanno inviato curiosità, aneddoti e tanto altro ancora di piacevole riguardante l’immenso e gradevolissimo mondo dell’enogastronomia: dai grandi vini, agli alimenti utilizzati per semplici e simpatiche portate, o per la grande cucina, non solo dell’italico paese, internazionali.
Un caloroso benvenuto a colei che, per prima, ha inviato la personale stesura, dando l’avvio alla suddetta rubrica: alla cara amica LORELLA ROTONDI  il piacere di essere il numero 1!!!
Aspettiamo ancora numerosi e simpatici scritti che tutti voi, cari gastronauti, vorrete inviarci.
Sottostante, il testo, interessante e piacevole, con cui Lorella ha aperto questa seducente collaborazione con tutti voi: grazie ancora!!!
 “Buhaioli c'è le paste!”
Ovvero: la Firenze di un tempo
   L'espressione più accreditata si riferisce ai cavatori di rena dal letto dell'Arno. Una lunga pala, forse di cinque metri, era l'attrezzo da lavoro; un lungo palo ficcato nel fondale consentiva l'ancoraggio nel punto da scavare; una piccola chiatta portava il “renaiuolo” nel punto dell'Arno da cui cavare gli inerti per l'edilizia.
Va da sé che il lavoro era ingrato in qualsiasi stagione, pertanto necessitava di almeno due gratificazioni: il pasto, che oggi diremmo ipercalorico e di un arrotondamento economico, in quanto l'uno e l'altro entrano autorevolmente nel campo enogastronomico.
Il pasto consisteva solitamente nelle paste al pomodoro, seguite da panzanella di cipolle tagliate sottili con pane raffermo bagnato nell'aceto e acqua, con olio, sale, pepe e un bel fiasco dell’immancabile vino rosso. Le mogli, a turno, andavano a cuocere il pranzo in riva al fiume in una caldaia comune ed appena pronto, gridavano “Bucaioli c'è le paste!”. Uno passava a ritirare i compagni e scendevano a riva raramente senza la zucca svuotata e incatramata che usavano per pescare intanto che “bucavano” l'Arno. Solitamente, il pesce veniva lasciato alla donna che già aveva fissato la vendita a una trattoria sui lungarni o con la fantesca di qualche casa di signori per cavarsi un capriccio: insomma, con chicchessia, pur di arrotondare la magra paga quotidiana costata però tanta fatica.
Ma questa è solo una delle versioni che circolano tra i fiorentini.
   L'altra si riferisce alle buche in San Lorenzo: cosa sono? Oggi sono le botteghe antistanti l’omonima  Chiesa che fu teatro della famosa congiura de' Pazzi, quella con la facciata non finita, per intendersi. Ebbene, quelle buche, sotto il livello della strada, erano botteghe anche un tempo con artigiani del cuoio, tessuti, etc. A mezzogiorno passavano i carri con le vivande, la street-food di allora, che al grido “Buhaioli, c'è le paste” richiamavano i bottegai dai loro tuguri per un pasto rapido, gustoso e sostanzioso. Oltre alla pasta al pomodoro, c'era il lampredotto e salsa verde. Potevano esserci pane e trippa alla fiorentina oppure il “buho”, la poppa ... insomma il quinto quarto con l’onnipresente fiasco di vino rigorosamente rosso.
   Ci convince meno, ma molto meno, la terza versione che fa riferire l'espressione alla categoria degli stradini che tappavano le tante buche delle strade. Essendo comunali, poi ... a mangiare ci pensavano da sé, nel caso.
   Vero è, che “buhaioli” non è nata come parolaccia, mentre in tempi moderni ne hanno fatto un epiteto dispregiativo, un insulto gratuito che oltre a offendere la virilità della vittima, accende il termine anche di un'altra sfumatura prossima al dare del bastardo,  sicché è un doppio insulto in un solo termine: tipico della burlesca fiorentina!

Noi restiamo affezionati alla versione aneddotica ed enogastronomica popolare.

giovedì 4 febbraio 2016

UN DITTATORE VEGETARIANO NON E' MENO DITTATORE

Un dittatore vegetariano non è meno dittatore
di Lorella Rotondi
   < Con questo intenso e profondo scritto, la cara amica Lorella pone in evidenza una caratteristica delle innumerevoli e contorte intime personalità di un personaggio che ha fatto si che non solo l’Europa, ma il mondo intero, con oltre settantun milioni di vittime tra civili e militari, e per quasi sette anni, siano stati messi a ferro e fuoco.
Tale alimentazione vegetariana, in quanto rifiuto dell’aggressività della carne e amabilità verso il prossimo, sembrerebbe porre in evidenza, forse, che il dittatore sia un uomo pacifico e che detesti tutto ciò che l’aggressività stessa permette di manifestare, ma purtroppo la realtà storica di quegli anni bui e tempestosi hanno decisamente smentito e tramandate le innegabili conseguenze … [ndr. P.L.N.] >
   Leggendo Conversazioni di Hitler a tavola [Hitlers Tischgerspräche] - marzo 1942/2 agosto 1942” di Henry Picker, edito da RG, ci si fa un'idea ben precisa del dittatore tedesco, poiché si sa, è a tavola che si rivela l'uomo in quanto si sono fatte tante pagine di storia: alleanze, tradimenti, avvelenamenti … e ancora oggi, la tavola viene prima della piazza, del giornale, della notizia “depurata e adattata”  per i quotidiani.
Ma qui non si affronteranno pagine che comunque abbiamo gustato con sincero interesse storico riguardo al rapporto tra Hitler e i tedeschi all'estero, o il suo pensiero sull'avvenire dei popoli dell'est o le comunicazioni e problemi tecnici, o religione e razzismo o scienza, religione e chiesa.
In questo libro si entra nell'intimità di Hitler per cercare di comprendere la psicologia dell'uomo.
Henry Picker, che per alcuni mesi sostituì lo stenografo Heinrich Heim nelle funzioni di trascrittore, riporta fedelmente i discorsi e le conversazioni avute dal Führer durante i banchetti che ebbero luogo nei quartieri generali di Wolfsschanze e Werewolf e, come avverte nella prefazione, “ … non è il caso di giustificare o di condannare il significato di questa raccolta di documenti. Per poter giudicare i rivoluzionari della storia, occorrono tempo e distacco”.
< Corretta valutazione nella quasi la totalità degli interessati, ma il “caporale austriaco” aveva fatto conoscere i personali punti di vista già quando era un illustre e sconosciuto imbonitore quando teneva allegoriche riunioni nelle birrerie della disastrata e inflazionata Germania dell’immediato primo dopoguerra, con fiumi di birra, pessimi shnaps e grassi würstel, e non era ancora l’incontrastato e “soprannaturale” dittatore. [ndr. …] >
   Ci vogliamo interessare solo del pasto di Adolf che iniziava con zuppa di cavolfiori, razione fissa di pane con 20 g di burro e un po’ di formaggio fresco fatto col latte: non si sarebbe mai sognato di mangiare burro e formaggi chimici come dettano ora le direttive europee, e a fine pasto consumava un po' di un tonico per lo stomaco: forse aveva “capito” che non avrebbe mai portato a termine i personali sogni di gloria e grandezza e cominciava a soffrire di ulcera? Infine, volevo approfondire perché apprezzasse tanto il regime vegetariano ed è lui in persona a rispondermi, a pag. 219: “ E' evidente che un carnivoro come il cane è ben lontano dal fornire un rendimento paragonabile a quello del cavallo, che è erbivoro … ”, inoltre consiglia che gli alimenti “ … vanno consumati allo stato naturale … ”, mentre metteva sull'avviso i fumatori in quanto “ … fumavo dalle 25 alle 40 sigarette al giorno /.../. Buttai le mie sigarette nel Danubio e smisi definitivamente di fumare”, pag. 215.
Ritagliando il settore enogastronomico nel nostro testo in esame, si può affermare che ci sono personalità e sicura originalità nel sostenere pubblicamente un pensiero certamente inusuale all'epoca. Hitler sostiene la tesi della bontà del regime vegetariano contro gli scienziati scettici e che il beriberi e altre malattie si possono curare al massimo in otto giorni “ … grazie a un'alimentazione vegetale, e precisamente a base di bucce di patate crude”. Riguardo al fatto che i cibi non vadano cotti, Hitler lo sostiene osservando il comportamento della zanzara, della rana, della cicogna, tra loro in catena alimentare, ognuna ottiene il massimo potenziale nutritivo perché “ … un'alimentazione veramente razionale deve ispirarsi al principio che il cibo ha un più alto valore nutritivo se viene consumato allo stato naturale … ”. Tutti gli studi sulle vitamine dimostrano che il processo di cottura e di preparazione degli alimenti ne distrugge le componenti più preziose. Certo, la cottura non distrugge soltanto elementi nutritivi, ma anche i batteri.
Se oggi i nostri bambini sono tanto più sani di quelli della Germania imperiale o dell'immediato dopoguerra, ciò si deve anche al fatto che la maggioranza delle madri si è persuasa a nutrire i propri figli con vegetali crudi anziché con latte bollito.
   Altra autorevole fonte è Margot Woelk, una delle ultime sopravvissute del team di dodici persone che si dedicavano all’alimentazione del Führer.
La Woelk, 95 anni compiuti, ha aspettato tanti anni prima di rivelare questo piccolo segreto ai giornalisti: perché? Perché non si riusciva a immaginare un uomo non carnivoro, specie se capo di stato, specie se Hitler. Sin dal monachesimo, la carne rossa veniva limitata nel consumo, specie nella regola benedettina, per contenere al massimo il potenziale aggressivo che le si attribuiva: in questo caso, l'istinto aggressivo prescinde dall'alimentazione, dunque.
Era l’assaggiatrice ufficiale di Hitler, cioè l’incaricata di cibarsi dei suoi pasti esattamente un’ora prima che venissero serviti nel quartier generale del partito nazionalsocialista in Polonia, la Tana sul Lupo
La Woelk, assaggiatrice per oltre due anni e mezzo dei menû di Hitler, precisamente dal 1941 al 1944, non ha dubbi e conferma che “ … era completamente vegetariano, mangiava le cose più deliziose e fresche, dagli asparagi, ai peperoni, ai piselli, serviti con riso e insalate. Era tutto organizzato su un piatto. Non c’era carne e non mi ricordo di aver mai visto pesce ”.
   Secondo alcuni altri storici, soprattutto Spencer, Hitler divenne vegetariano dopo la morte Geli Raubal, nipote-amante, settembre 1931, perché la carne gli “ricordava” il suo cadavere: sensazione decisamente macabra e poneva già in evidenza l’intima e particolare personalità.
Sulla figura dell’amante-nipote appunto, nel Terzo Reich aleggiò sempre un alone di sacralità e mistero voluto da Hitler in nome del suo amore spezzato. Hitler e il suo rapporto col cibo sfiora, come per tutti, il suo rapporto con la vita, con la passione vitale. Ebbe certamente dimestichezza con la morte che immaginava “bianca” come la neve, tant’è che apprezzava infatti, che i giapponesi e cinesi si vestissero di bianco in segno di lutto, “ … durante il soggiorno nelle zone alpine, egli si sente a suo agio solo quando può osservare di lontano i nevai, questi sudari funebri … ”.

   Ma ebbe anche un intensa vita ricca di passioni per cultura, arte, bellezza, smodata smania di dominio: un dittatore vegetariano, non è meno dittatore …