TESTIMONIANZE DAL
PASSATO DELLA CIVILTÀ CONTADINA NELL’APPENNINO
TOSCO-EMILIANO
A causa delle scarse infrastrutture e della
tipologia stessa del territorio, l’appennino Tosco-Emiliano ha conservato più a
lungo rispetto di altre zone, alcune caratteristiche tipiche della cosiddetta
civiltà contadina, una situazione sociale, economica e culturale che riporta
alla mente condizioni di vita che già nel 1950 in tanti luoghi avevano
dimenticato ed abandonato a favore di usi e costumi più moderni, favoriti
soprattutto da tecnologia e consumismo.
Gli
abitanti di queste aspre ed a volte inospitali montagne, isolati e con scarsi
mezzi di comunicazione, hanno preservato stili di vita più poveri e con valori
decisamente diversi rispetto alle zone più industrializzate.
Nella
zona di Pian del Voglio, prime propaggini dell’appennino, su cui verte la
presente stesura, molte terre appartenevano alla famiglia nobiliare dei Conti Ranuzzi
De’ Bianchi, possedimenti che erano gestiti da fattori e coltivati da intere
famiglie di contadini e mezzadri, in base a contratti agrari tipicamente
feudale e speculativi. Altri terreni appartenevano a famiglie, i primi
imprenditori, che erano riusciti faticosamente ad acquistarli dai Conti.
L’economia del periodo, secondo dopoguerra fino alla fine degli ’50,
quando i lavori di costruzione dell’autostrada A1 hanno portato sostanziali
cambiamenti nell’economia e nella vita di tutti i giorni nell’ambito locale,
era prevalentemente agricolo. Il commercio era decisamente scarso, il denaro
contante non era abbondante e ne comune mentre il poco che c’era serviva per
pagare le tasse: le famiglie e le comunità cercavano di essere autosufficienti
utilizzando maggiormente le modalità dei baratti che avvenivano con i prodotti
della terra, in quanto beni di sopravvivenza.
L’economia della famiglia, o meglio, la sua
sopravvivenza, era basata su ciò che si riusciva a produrre. La principale
fonte di sostentamento era il bestiame, in quanto forniva carne e latte: la
quantità di capi bovini presenti nella stalla, rifletteva il “benestare” dei
proprietari. Le terre dovevano essere coltivate in funzione degli animali,
poiché solo una minima parte del raccolto era destinata al consumo umano. Gli
animali potevano lavorare nei campi alleviando così le fatiche di
un’agricoltura esclusivamente manuale. I buoi erano simbolo di grande
ricchezza, poiché lavoravano, ma non rendevano in termini di alimentazione,
mentre gli asini, che erano alla portata di pochi privilegiati, risparmiavano
le fatiche del trasporto dei cereali e della farina da casa al mulino e
viceversa, compito prettamente femminile; i rari cavalli, simbolo del potere e
nobiltà, erano utilizzati esclusivamente dal fattore quando passava a
controllare le terre e l’operato dei mezzadri.
Le
uova, conservate scrupolosamente durante l’inverno quando le galline smettevano
di produrle, erano una preziosa risorta, come le galline stesse che venivano
uccise solo in occasioni speciali, a esempio, dopo un parto, per rimettere in
forza la puerpera.
Il
rispetto dell’ambiente era prioritario e assoluto: la terra era l’unica fonte
di sostentamento, in quanto forniva tutto il necessario come cibo, calore,
casa, vestiti, e pertanto andava tenuta in grande considerazione, rispetto e
trattata con tutte le cure possibili.
Si è
portati a pensare che tale tipo di economia alquanto “chiusa” e la relativa
vita frugale e travagliata che ne derivava, abbia immancabilmente indirizzato
le persone ad una situazione di chiusura, di reciproca diffidenza e di invidia:
in effetti non è stato assolutamente così, anzi! Proprio in questi periodi di
scarsa ricchezza, di immani fatiche, alcuni valori fondamentali della vita
quali la famiglia, l’amicizia, la solidarietà ed il reciproco rispetto, hanno
trovato la massima espressione nell’aiutarsi e condividere quel poco che si
aveva. Le famiglie e le comunità lavoravano insieme e si aiutavano
vicendevolmente, sia nel lavoro che nella vita di tutti i giorni. I momenti del
raccolto erano attimi di aggregazione sociale, in quanto si lavorava volentieri
e si stava in compagnia. Quando si “spannocchiava” il granturco era una festa
collettiva con musica, canti, balli e racconti. Se una donna era a lavorare nei
campi e il neonato a casa doveva essere allattato e accudito, poteva rivolgersi
a una vicina. Se c’era necessità di mano d’opera per una qualunque riparazione,
tutti gli uomini erano disponibili: poiché non vi erano grandi possibilità e
vie di comunicazione, ma proprio perché la strada era una sola, tutto ciò che
avveniva era sotto gli occhi di tutti che quando passava il dottore, si sapeva
che qualcuno stava male e, peggio ancora, se passava il prete, qualcuno stava
morendo! Vi era una grande vicinanza delle persone e una partecipazione comune
e tanta, tanta compassione.
Valori, questi, che nella società attuale dopo appena cinquant’anni, non
sono più all’ordine del giorno, in una cultura che privilegia l’individuo e non
facilita l’aggregazione, ma favorisce la forma rispetto alla sostanza, dove la
ricchezza viene idolatrata ed il consumismo regna sovrano.
Personalmente,
trovo difficile immedesimarmi in questo stile di vita passato, che è lontano
dal vivere mio e dei miei coetanei, eppure si parla solo di qualche decennio
fa, uno spaccato di vita vissuto dalle precedenti generazioni. Mi pare
incredibile il guardare indietro nei tempi e vedere come sia cambiato il mondo
in pochi anni, quante situazioni siano state dimenticate o vadano
irrimediabilmente perdute. Di tutto ciò posso comprendere l’importanza delle
testimonianze, la storia “viva”, “reale”, un pezzo di vita che ci ha condotti
fino qui.
Ho
cercato di raccogliere quante più testimonianze locali per conservare un
pezzetto di storia che, personalmente, sento particolarmente vicino: testimonianze
dirette di persone che hanno vissuto la storia di questi luoghi e che l’hanno
tramandata.
Sono irrilevanti alcuni aneddoti, a volte
divertenti e a volte malinconici, che fanno ridere o piangere, ma stupiscono
sempre in quanto sono momenti vissuti.
Mi rincresce accorgermi che le ultime
generazioni non prestino alcuna attenzione al passato, alle testimonianze e
all’esperienza che immancabilmente si riceve dai nostri predecessori,
soprattutto quando il loro vissuto è ancora così vicino a noi: ebbene, questi
valori non possono essere tramandati come semplici notizie, vanno vissuti e un
giorno diventeranno storia …
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