sabato 8 aprile 2017

IL FASCINO DEL PESCE BALESTRA ALLA "TEGOLA"

Il fascino del pesce balestra alla tegola, un giorno a Livorno
   Una canzone di Niccolò Fabi, “Perde la città”, un certo punto recita così:
Hanno vinto i ristoranti giapponesi
Che poi sono cinesi anche se il cibo è giapponese
I locali modaioli, frequentati solamente da bellezze tutte uguali
Le montagne d’immondizia, gli orizzonti verticali
Le giornate a targhe alterne e le polveri sottili
Hanno vinto le filiali delle banche, hanno perso i calzolai
E ha perso la città, ha perso un sogno.
   Crediamo abbia ragione l'artista: là dove si perde il contatto, il lavorare con passione d'artigiano e in “verità”, gusto per quel che si fa, ci perde la città e ci perdono gli uomini. Non così al “TEGOLO” di Livorno in Piazza Garibaldi 10, quella vicino al Parcheggio MODERNO, per intenderci, perché a Livorno di Piazza Garibaldi ce ne sono tre. Questa è quella in fondo a Via Grande, dopo Piazza della Repubblica.
   Da Quercianella arrivano Patrizia Mazzeranghi e Alessandro Panichelli, proprietari del locale a Livorno da otto anni. Un locale che oggi sposa contaminazioni di recupero e inserimento di motivi architettonici contemporanei. Uno stile in cui i giochi di luce e la musica d'ambiente creano uno spazio coinvolgente. Primo dato apprezzabile sono i giorni e gli orari di apertura: 365/365 giorni l'anno a pranzo e a cena! Questo indica che casa è lavoro e lavoro è casa. La Signora Patrizia ha un talento naturale in cucina, ma educato per sensibilità e umiltà ai contatti avuti con gli chef incontrati negli anni. Il Signor Alessandro ci mette il gusto per le materie prime: il meglio di ogni rifornitore.
Ristorante di pesce fresco di prima qualità e per lo più locale, specializzato in crudité servite alla francese e pesce cucinato nella tegola, da qui il nome del ristorante. Meravigliosi i primi come la “carbonara di mare” o il “risotto al nero di seppia”. Antipasti come la “crema inglese giuncata con granella di pistacchio indivia belga lardo di Colonnata e gamberi rossi di Mazara del Vallo” o la “verticale di seppia o di baccalà”, sono difficilmente confondibili.
Cucina espressa, carta dei vini ben articolata e di accompagnamento armonico con i piatti proposti, dolci casalinghi e il caffè tostato a legna consentono di trascorrere una serata in cui Alessandro è un po' il “calzolaio” che non dobbiamo perdere se non vogliamo metterci nelle mani delle catene di montaggio o dei gastrosofi “confusi e felici” che parlano a volte a piatti vuoti, o, peggio ancora, comuni, che necessitano dell'estro della nonna all'uscio accanto per una proposta originale nel menù di tradizione.
   Sarà bene tenerci stretti coloro che non ci fanno perdere un sogno, quello di mangiare bene e di uscire di casa per non mangiare come a casa.

Lorella Rotondi.

lunedì 3 aprile 2017

MAI DIRE RUM A LIVORNO: PONCE AL RUMME

Mai dire rum a Livorno: ponce al rumme

   Venerdì 31di marzo alle h. 18,30 serata di grande impegno civico, cultura e divertimento alla Ruzzoteca di Valentina Del Santo e di Antonio Tardone, in via delle Sorgenti 1 a Livorno.
Il pretesto della serata lo ha offerto la presentazione, anche nel linguagio dei segni LIS, del libro di Ermanno Volterrani “Gastone Biondi, Storie e segreti del ponce al rumme”. Il progetto del libro dedicato a suo padre è di Caterina Biondi che ha collaborato fornendo prezioso materiale d’archivio della ditta di liquori Vittori.
   Tornando alla location, cioè alla Ruzzoteca, colpisce l’intelligenza di questi giovani che hanno inteso offrire uno spazio alla cittadinanza per curare la ludopadia con il gioco da tavolo, cui, chiunque si associ, può consumare un drink e giocare con tutto ciò che la sala offre, dai giochi classici ai più innovativi, presentati al Lucca Comix; si può anche consumare un’ottima apericena che si articola dai prodotti a filiera corta , come le frittatine con asparagi selvatici, dalle ottime focacce della nonna alle insalate di farro e a degli ottimi crostini neri alla livornese di Letizia Bianchi e Antonio carbone.
Il nome del locale, aperto due mesi fa, ha in sé una frenesia, un’istintiva passione che si rivolge a Firenze più nella sfera del corteggiamento scanzonato e amoroso, mentre a Livorno, ed i questo caso è rivolto a una febbre del gioco. E’ stato straordinario, oltre agli associati della LIS, incontrare giovani coppie con carrozzina a seguito, segno di una reale accoglienza verso ogni esigenza da parte dei gestori. Questa data, appunto il 31 marzo, poi è stato davvero un giorno speciale, poiché l’istrionico Ermanno Volterrani, assicuratore, cabarettista, scrittore e poeta vernacolare, ha saputo davvero elettrizzare l’aria con il suo seminario sul “ponce al rumme livornese” coadiuvato da Caterina Biondi, testimonial d’eccezione, poiché figlia di Gastone Biondi, della ditta Vettori Biondi attiva dal 1929 al 1990. Questa ditta di liquori è arrivata a produrre nel tempo una sessantina di etichette di cui 15 per le sole “bagne” per pasticceria che oggi sono di circa 30%, come titolo alcolometrico, ma allora dovevano essere dai 21 ai 70%. Gastone muore nel 2002 ma nel 1990 aveva venduto la ditta a un rappresentante che l’ha trasferita, udite udite in provincia di Pisa! Ma cosa c’entra la ditta Vittori con la storia del rumme?
   La storia ha inizio nel 1606 con le prime 6 balle di caffè arrivate nel porto mediceo con Ferdinando e forse per “merito” uno dei 4 mori che dirottarono un carico. Nel 1921 è aperta a Livorno la prima bottega del caffè e si deve certamente, sia il rango di città assunto da Livorno, che la cultura economica rapidamente raggiunta da questa città dalle leggi livornesi che concedevano qui di lavorare a chiunque, purché non avessero ucciso o realizzato falso in conio. Fu così che Livorno si arricchì della presenza di una forte presenza di ebrei e di africani provenienti dal nord in quanto perseguitati. A questa koinè si aggiunsero gli inglesi che portarono, fra l’altro, l’uso dei marinai di allungare il tea con il rum, ma dal 1921 i livornesi trovarono più economico e più gradevole allungarlo col caffè : nasce così il ponce che del tea mantiene solo la scorza di limone. Anche il rum, però, è costoso, sicché si inizieranno a studiare numerose ricette alternative. Quella della ditta Vittori-Biondi si impose per gradevolezza e trovò nella collaborazione col Bar Civili la miglior realizzazione di gottini di rumme alla “fantasia Vittori“ che si attesta sui 17%.
Anche la storia dello stesso Gastone, ultimo titolare della ditta, è di grande fascino: dall’essere riuscito a evitare la campagna di Russia perché registrato all’anagrafe con qualche giorno di ritardo, a essere orfano già a 9 anni, ad aver amato lo studio e il lavoro svolti simultaneamente, fino ad arrivare al Banco di Roma, aver preferito la direzione dell’azienda degli zii della moglie piuttosto che la direzione della banca a Como, ne fanno un uomo intelligente e appassionato di grande intuizione imprenditoriale. Dei suoi tre figli, solo Cristina ne erediterà la caratterialità, fino agli anni ’90.
L’uditorio contava fra i presenti tanti cittadini non udenti che hanno seguito questo affascinante racconto in LIS. L’ attenzione di tutti è stata alta e appagante per i relatori.
   Tutti siamo usciti coccolati da Letizia, Valentina e Antonio della Ruzzoteca, ma anche più colti grazie al Libro di Ermanno Volterrani e Caterina Biondi sul ponce al rumme di Livorno e più civili per il circuito di benevolenza e attenzione creatosi nell’uditorio. Non c’è che da sperare in altre presentazioni simili al più presto ricordandoci sempre di tutti i cittadini, specie di quelli in disabilità che hanno bisogno come gli altri di organizzare la loro vita oltre il muro della solitudine con incontri, giochi, cultura, piacevolezze, leggerezza e profondità del vivere insieme.
Vania Vitolo, presente alla serata,  mi ha parlato di una pedana vibrante che consente di sentire la musica ai bambini non udenti, mentre un’altra pedana dell’ ”acqua” sta per essere messa a punto.
Quanta grandezza e attenzione civile in una serata così!

Lorella Rotondi

sabato 1 aprile 2017

L'ESPERIENZA DELL'ASL

L’esperienza dell’ASL: punti di forza e di criticità

   Lo stage è un “ … periodo di formazione o perfezionamento professionale trascorso presso un’azienda per acquisire la preparazione professionale necessaria a svolgere una certa attività … ”, Garzanti online, previsto dalla legge 107/2015. Noi, classe 2^ D, abbiamo avuto modo di provare questa esperienza circa un mese fa: per una settimana, dal 27 febbraio al 5 marzo, invece di alzarci la mattina e andare a scuola, abbiamo trascorso sei ore al giorno in un’azienda che poteva essere un ristorante, per coloro che hanno scelto di fare sala o cucina, un albergo, per chi vuole fare ricevimento, oppure una pasticceria per chi, come me, ha scelto questo indirizzo.
   La pasticceria dove sono stata mandata si chiama “Gilli” e si trova in Piazza della Repubblica. E’ abbastanza conosciuta data la sua posizione e frequentata soprattutto da turisti ai quali non interessa più di tanto se i costi sono elevati e la mia paura più grande era di non esserne all’altezza.
Il primo giorno ero ansiosissima. Avevo il timore di fare brutte figure, ma allo stesso tempo non vedevo l’ora di iniziare questa esperienza. Le mie aspettative erano molto basse: pensavo che non mi avrebbero fatto fare niente, oltre a lavare utensili e cose varie e invece, con mia grande sorpresa, mi hanno messa quasi da subito con le mani in pasta. Letteralmente. Il secondo giorno, ad esempio, dovevo fare la pasta frolla. Loro mi dicevano via via le dosi degli ingredienti, dovevo pesarli e poi metterli nella planetaria o, per meglio dire, buttarli nella planetaria. Sì, perché le quantità erano dieci volte quelle che ero abituata a usare a scuola o a casa e non avevo abbastanza forza per sollevare gli ingredienti e versarli con grazia. Quando poi dovevo mescolarli insieme, magari nei punti in cui la frusta della planetaria non arrivava, una normale spatola non bastava e allora dovevo farlo con le mani, ma dato che la planetaria era molto profonda, da terra mi arrivava ai fianchi!, mi ci dovevo praticamente buttare dentro. Non mi soffermo più di tanto a dire che ho dovuto lavare la divisa più volte in questa settimana che in tutto l’anno scolastico. In momenti come questi, in cui tutta la responsabilità dell’impasto era su di me, la mia ansia saliva a dismisura.
Anche perché avevo scoperto che i dolci che facevamo lì non erano solo per il “Gilli”, ma anche per il “Paszkowski”, il bar accanto, e per il bar “Scudieri” di Piazza Duomo.
Mi avevano dato tanta fiducia e io mi sentivo in dovere di fare bene. Non tanto per non fare brutta figura, quanto per non deludere il cliente. Per la prima volta in vita mia ho sentito nelle mie mani la responsabilità della soddisfazione del cliente: ovviamente non era così. Quello che facevo era solo una parte di un dolce composto anche da altre preparazioni, però mi ci dovevo impegnare lo stesso.
Un altro aspetto di questa esperienza che vorrei trattare è la sveglia la mattina. Partendo dal presupposto che io odio svegliarmi presto, ero convinta che la parte più dura di tutte fosse proprio questa in quanto per essere lì alle h. 7,00, ogni mattina dovevo svegliarmi all’incirca alle 6 che, per come sono abituata, è abbastanza presto. Invece mi è risultato più semplice del previsto, forse perché mi svegliavo con la consapevolezza di andare a fare qualcosa che mi piaceva in un ambiente allegro e molto “sciallo”.

   In conclusione, credo che, anche se è stata molto stancante, questa esperienza mi abbia insegnato qualcosa: non solo per quanto riguarda la pasticceria, ma anche dal punto di vista aziendale.
Ho vissuto il “dietro le quinte” e ho osservato tutti quegli escamotages utili per evitare di buttare via cibo e denaro

Alessia Saccone  Cl. 2^ D IPSSEOA “A. Saffi” - Lorella Rotondi