martedì 10 gennaio 2017

SONO D'ORZO I PANI MIRACOLOSAMENTE MOLTIPLICATI DA GESU'

Sono d'orzo i pani miracolosamente moltiplicati da Gesù
   Mariella Zoppi, Professoressa di Architettura del paesaggio presso l'Università di Firenze, ci dice proprio questo a pag. 33 della sua più recente e assai interessante pubblicazione, “Nel giardino della Bibbia, 2016, per Angelo Pontecorboli Editore.
Il farro era in largo uso presso i romani, mentre il popolo ebreo usava preferibilmente l'orzo (Giovanni 6:9).
Del resto, un litro di frumento costava un denaro, mentre con la stessa cifra si potevano avere tre litri (chènice precisamente) di orzo, (Apocalisse 6:6).
Torna, allora, quanto afferma Massimo Montanari che “ … l'identità si declina al plurale”! E lo afferma in vari suoi testi celeberrimi. Angelo Varni, che lo ha letto con cura, ne “Il Sole 24 Ore” sostiene che lo storico Montanari ” … coglie nel profondo la dimensione culturale del fare cucina, la sua forza rappresentativa dei valori, dei simboli, dei significati dell'identità stessa delle comunità che di tali pratiche alimentari si sono nutrite”.
   In comune tutte le civiltà avevano un principio: il susseguirsi lento delle azioni dell'uomo che dovevano essere in armonia con i tempi della Natura, poiché questa era l'immagine stessa del Creatore.
Quale demone si è insinuato nel tempo e nella storia per sovvertire un principio etico così diffuso e radicato in tutte le civiltà, siano esse del farro, dell'orzo, del mais o del bianco frumento?
La rapidità, la velocità e, dirò, anche la linea retta (per sua natura la distanza più breve tra due punti) non sono le più sane quando in dis- armonia con la natura. E’ utile ai potenti del mondo per i profitti che possono trarne o ai giovani “ … che da un loro perpetuo punto di partenza non vedono l'ora di essere già arrivati a qualche traguardo, a qualche preziosa stazione … “ (pag. 129 de “Alzaia  di Erri De Luca).
Ma il coltivare, Noè che era un agricoltore, cominciò a piantare la vigna (Genesi 9:20) ed è la prima pianta dopo il ramoscello d'ulivo all'indomani del Diluvio, il raccogliere, il trasformare in cibo sono gesti e atti insieme liturgici, anche nella inconsapevolezza più profonda di chi li compie. Chi si avvicina alla cucina deve assumere consapevolmente, invece, la responsabilità delle proprie azioni etiche ed estetiche sempre e comunque.
Alcuni chef pluristellati (???) consacrati dalla televisione si travestono da filosofi e artisti, spesso perdendo di vista il valore ben più alto della cucina e, comunque, diverso da quello di cui si fregiano e per cui non sono preparati. Lo chef come la vergara, ma direi anche il sacerdote e la madre di famiglia, hanno il sacro compito di trasmettere l'identità di un popolo attraverso uno dei veicoli culturali più facilmente trasmissibili: la cucina. E questo basta. In molte culture si baciano le mani a fine pasto a colui o a colei che ha cucinato per noi in segno di rispetto.
Di contro, è pur vero che fallisce il suo compito colui che non si scrolla di dosso superbia e orgoglio, colui che bada solo agli affari, colui che faccia negotium di un'arte e di una “medicina”, colui che non sente come nobile e nobilitante prendersi cura , che è amare per i latini, del prossimo attraverso il cibo.
Lo scasso del vomere ha i suoi tempi, così la semina e la raccolta. La preparazione delle farine deve essere accurata, essiccate lentamente e lavorate con attenzione.
Se faremo del DNA dello scorpione abituale componente dei nostri pasti, aspettiamoci pure un losco serpente che vi si dischiuda: romperà la sua pelle d'uovo fra quelle farine ferite nell'anima verde che custodisce ogni spiga.

di Lorella Rotondi

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