Sono
d'orzo i pani miracolosamente moltiplicati da Gesù
Mariella Zoppi, Professoressa di Architettura del paesaggio presso
l'Università di Firenze, ci dice proprio questo a pag. 33 della sua più recente
e assai interessante pubblicazione, “Nel giardino della Bibbia, 2016, per Angelo Pontecorboli
Editore.
Il farro era in largo uso presso i
romani, mentre il popolo ebreo usava preferibilmente l'orzo (Giovanni 6:9).
Del resto, un litro di frumento costava
un denaro, mentre con la stessa cifra si potevano avere tre litri (chènice
precisamente) di orzo, (Apocalisse 6:6).
Torna, allora,
quanto afferma Massimo Montanari che “ … l'identità si declina al
plurale”! E lo afferma in vari suoi testi celeberrimi. Angelo Varni, che lo ha
letto con cura, ne “Il Sole 24 Ore” sostiene che lo storico Montanari ” … coglie nel profondo la dimensione
culturale del fare cucina, la
sua forza rappresentativa dei valori, dei simboli, dei significati dell'identità
stessa delle comunità che di tali pratiche alimentari si sono nutrite”.
In comune tutte le civiltà avevano un principio: il susseguirsi lento
delle azioni dell'uomo che dovevano essere in armonia con i tempi della Natura,
poiché questa era l'immagine stessa del Creatore.
Quale demone si è insinuato nel tempo e
nella storia per sovvertire un principio etico così diffuso e radicato in tutte
le civiltà, siano esse del farro, dell'orzo, del mais o del bianco frumento?
La rapidità, la velocità e, dirò, anche
la linea retta (per sua natura la distanza più breve tra due punti) non sono le
più sane quando in dis- armonia con la natura. E’ utile ai
potenti del mondo per i profitti che possono trarne o ai giovani “ … che da un loro perpetuo punto di partenza
non vedono l'ora di essere già arrivati a qualche traguardo, a qualche preziosa
stazione … “ (pag. 129 de “Alzaia di Erri De Luca).
Ma il coltivare, Noè che era un
agricoltore, cominciò a piantare la vigna (Genesi 9:20) ed è la prima
pianta dopo il ramoscello d'ulivo all'indomani del Diluvio, il raccogliere, il
trasformare in cibo sono gesti e atti insieme liturgici, anche nella
inconsapevolezza più profonda di chi li compie. Chi si avvicina alla cucina
deve assumere consapevolmente, invece, la responsabilità delle proprie azioni
etiche ed estetiche sempre e comunque.
Alcuni chef pluristellati (???)
consacrati dalla televisione si travestono da filosofi e artisti, spesso
perdendo di vista il valore ben più alto della cucina e, comunque, diverso da
quello di cui si fregiano e per cui non sono preparati. Lo chef come la vergara,
ma direi anche il sacerdote e la madre di famiglia, hanno il sacro
compito di trasmettere l'identità di un popolo attraverso uno dei veicoli
culturali più facilmente trasmissibili: la cucina. E questo basta. In molte
culture si baciano le mani a fine pasto a colui o a colei che ha cucinato per
noi in segno di rispetto.
Di contro, è pur vero che fallisce il
suo compito colui che non si scrolla di dosso superbia e orgoglio, colui che
bada solo agli affari, colui che faccia negotium di un'arte e di una
“medicina”, colui che non sente come nobile e nobilitante prendersi cura , che
è amare per i latini, del prossimo attraverso il cibo.
Lo scasso del vomere ha i suoi tempi,
così la semina e la raccolta. La preparazione delle farine deve essere
accurata, essiccate lentamente e lavorate con attenzione.
Se faremo del
DNA dello scorpione abituale componente dei nostri pasti, aspettiamoci pure un
losco serpente che vi si dischiuda: romperà la sua pelle d'uovo fra quelle
farine ferite nell'anima verde che custodisce ogni spiga.
di
Lorella Rotondi
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