“Rubò sei cervi nel parco del re … ”
di Lorella Rotondi
Il furto non è mai stato favorito, anzi, è
stato sempre considerato grave.
Quello
più comune, cioè della frutta, di una mela in particolare, è oggetto ancora di
memoria e di ... catechizzazione., ma eravamo nell'Eden e il frutto era
dell'albero della sapienza.
Continuando
fra i miti greci, il furto del fuoco condannò il generoso Prometeo a un supplizio
tremendo per trent'anni: un'aquila gli divorava il fegato ogni giorno e questo
si riformava per volere di Zeus, perché il giorno seguente la tortura si
potesse ripetere: sadico e perverso anche se era il re degli dei!
Il
furto dello zafferano o il solo pestarlo mentre ci si recava a caccia, era
motivo di condanna a morte, poiché il valore, ieri come oggi, è sempre stato
equivalente all'oro. La morte era ciò che spettava anche ai ladri di sale o di
spezie
Mi
viene in mente Giles Milton, “L'isola della noce moscata”, Ediz.
BUR: immenso l’intrinseco valore, per noi oggi inimmaginabile, e carico di
sangue, di guerre e di vie tracciate fra terre inospitali e oceani solcati su
navi spesso insicure e sovraccariche.
Ma
il passato non ci trasmette solo una tradizione di cibo e sangue, furto e
punizione, spesso metafora della felicità terrena che non si ottiene perché una
vita sia senza problemi, bensì per il superamento degli stessi e delle ... tentazioni.
Abbiamo anche un' attenta osservazione
delle attività dei mesi, delle stagioni e delle attività a esse collegate con
paziente devozione.
I libri di pietra
parlano chiaro e a lungo, a Venezia come a Brescia, a Ferrara come ad Arezzo.
Massimo Montanari nella sua recente pubblicazione, “Il sugo della storia” , rileva
che in una formella del Battistero di Parma, XII° sec, l'Antelami ha
raffigurato un contadino che strappa due grosse rape (pag. 138). Lo storico
aggiunge che queste, in tutte le varianti, erano tanto importanti
nell'alimentazione quotidiana che non erano sottoposte a gabelle né alcuno
veniva punito per il furto di un paio di rape: si faceva finta di nulla di
fronte alla fame: allora i signori erano veramente Signori, evidentemente!
Ma è anche interessante notare che si
rimaneva legati alle radici, oggi diremmo identità sociale, senza bisogno di
contraffazioni (penso alle finte griffes tanto in voga per quanto siano
perseguite sistematicamente dalla legge anche in campo alimentare!). Montanari
riporta un racconto su Bertoldo, il contadino di Giulio Cesare Croce, che
mangiando a corte cibi raffinati si ammala e invoca i “suoi” cibi”: un po' di
cipolla e fagioli, le amate rape cotte sotto la cenere. Le sue radici in ogni
senso” (ibidem).
Rubare il profilo altrui era
un reato grave, lo si sentiva nelle viscere, sino a morirne. Ognuno ne tragga
la morale che crede. Geordie cacciò per denaro, dice Fabrizio de Andrè nel
nostro titolo, non aveva vent'anni e pagò con la vita. Eppure era consentito,
finito il tempo delle battute di caccia del Signore, cacciare nel parco del re
si poteva. Evidentemente era ancora tempo di caccia per il re e non per i Geordie
del suo feudo. Non è, dunque, solo questione di furto, ma anche di
rispetto delle leggi della natura e degli uomini.
La buona cucina non fa eccezione: se non è
in linea con la generosità delle stagioni e con l'onestà del prodotto genuino,
meglio se a filiera corta, rompe un patto antico e compie altro furto grave: la
salute del commensale …
Nessun commento:
Posta un commento