Dal passato: pratiche magiche contro il malocchio
ovvero, la saggezza della cultura contadina nei proverbi
di una volta
di Pier Luigi Nanni
“Meldoc’
melducià, torna adòs a chi tla dà”
In
parole più comprensibili: “Malocchio malocchiato torna addosso a chi te l’ha
dato”, ed è giusto che sia così, poiché se si fanno certe “spiritualità”, è per
far sì che chi le subisce, riceva un danno da parte di colui che invidioso,
geloso o altro ancora, vuole la sua rovina.
Era la formula liberatoria che accompagnava
un rituale contro il malocchio in uso nella cultura contadina montanara, tra il
bolognese ed il modenese, di “qualche” anno fa, anche se ultimamente tali riti
sono tornati in auge: forse, e dico forse, perché vi è necessità di credere in
qualcosa di superiore a noi che, aiutandoci, fondamentalmente danneggia
l’altrui persona? Non saprei, in quanto a tale riguardo sono sempre stato
fortemente perplesso, per non dire scettico …
In
breve e forzatamente, parlerò del malocchio alle persone e dei “presunti” riti
magici, appunto, chiamati “sendà o sindà
e sandà”, che si praticavano per cacciarlo. Si diceva anche, secondo dei
gesti e della materia utilizzata, “lavare”
o “segnare” e comunque “fer sendà”, fare sendà.
Per
comprendere appieno queste credenze, le cui origini si perdono nella notte dei
tempi, è indispensabile fare chiarezza su alcuni punti di vita inerenti a
queste popolazioni che hanno sempre vissuto ai margini dei grandi assembramenti
urbani.
Fino
ai primi anni ’50 del secolo scorso, ormai lontano ed ampiamente dimenticato,
molta parte della nostra montagna era di fatto, isolata. I montanari la
percorrevano a piedi lungo mulattiere e sentieri quasi esclusivamente
conosciuti a chi viveva in tali impervie zone. Le rare auto erano ad appannaggio
dei “ricchi signori” e così pure per i cavalli, con un conseguente orizzonte
esperenziale limitato ad una decina di chilometri.
Per
lavorare la terra, due famiglie su tre, vivevano in cascinali sparsi tra i
campi, lontani da scuole, dai dottori e dalla stessa chiesa. L’acqua era
quella, se fortunati, del pozzo artesiano presente nell’aia, chiaramente senza
i più elementari servizi igienici, mentre l’illuminazione era data da timide
candele o fumose lampade a petrolio. La notte poi, il mondo era completamente
all’oscuro, nemico e luogo di fenomeni spesso incomprensibili. Facile avvertirvi
presenze non umane ed al di sopra il pensabile di tutti i giorni: spiriti,
streghe, demoni, anime in pena che vagavano alla ricerca della pace interiore
ed altre inquietanti figure. Come non credere al malocchio?
Che
è, infatti, un male, una specie di persecuzione che ti prende per cause
inspiegabili, rendendoti la vita difficile, peggio ancora di quella che stai
vivendo tutti i giorni! Lo davano le vecchie sole, poiché ritenute streghe, in
quanto scarmigliate, sporche di miseria e non più lucide e coscienti
mentalmente. I poveri che bussavano alle porte ad elemosinare, i segnati nel
corpo, cioè gobbi, sciancati, orbi e tutto un insieme di sventurati, oltre che
nel corpo appunto, segnati irreparabilmente nella mente. Molti di questi
sventurati, riconoscibili dallo sguardo sinistro e torvo, davano il malocchio
per invidia, cattiveria e molto spesso per innata ignoranza. Esistevano anche i
portatori ignari di possedere il potere d’infliggerlo e proprio per questo
pericolosissimi! Il malocchio si “dava” con un’occhiata, un gesto, un semplice
tocco delle mani, oppure un esplicito malaugurio o semplicemente con la sola
presenza.
Un
metodo in uso per identificare una o un portatore di malocchio, era di gettare
un “pugnlìn”, un pugnino di sale sulle braci del camino di soppiatto, quando la
persona sospetta non poteva vedere: se era strega, si faceva la pipì addosso e
scoperta, diventava cattiva, inveiva e malaugurava.
I sendà
in uso erano diversi, ciascuno con proprie norme e formule, chiaramente non
rivelabili, pena la perdita del potere da parte di chi li operava. Inoltre, non
poteva chiedere denaro o altro compenso per la prestazione, ma solo accettare
un “modesto” dono in natura dal sofferente. Soprattutto sono due i riti più
frequentemente usati: quello con l’utilizzo dell’olio, oppure con i carboni.
Il
primo, con l’olio, in una bacinella d’acqua si fanno cadere alcune gocce d’olio
d’oliva: se le gocce, invece di raccogliersi a formare un’unica pellicola, si
allargano sull’acqua e rimangono divise, il malocchio è presente. L’operatrice,
o l’operatore, col personale potere, recita la formula trascritta all’inizio,
oppure un’altra più innocente: “meldoc’
melducià, va vèia se te sta dà” - [malocchio malocchiato, va’ via se sei
stato dato].
Il
secondo “rito”, con i carboni, è molto più complesso ed occorrono molti
”poteri” per interpretarlo!
Per eseguirlo, occorre carbone di legno
di quercia che, a differenza di quello di castagno, non si disfa maneggiandolo.
Si tolgono cinque o sette pezzetti della brace dal focolare, sempre numero
dispari, in quanto è maschio e di buon augurio, mentre se pari è femmina e di
malaugurio. Una alla volta, si spengono dentro una tazza d’acqua, e tracciando
nell’immergerli un segno di croce, chiaro segno di commistione fra
superstizioni pagane e credenze pagane: se i carboni restano a galla, il
malocchio non vi è, mentre se affondano, il malocchio ti possiede o possiede la
persona per la quale ti sei rivolto al “guaritore”. A questo punto del rito,
nel caso di presenza di una forza occulta negativa, sarà recitata una delle
tante formule liberatorie con potenza in proporzione a quante braci sono andate
a fondo: se malauguratamente tutte, il “santone” dovrà manifestare appieno la
personale ed innata potenza per aiutare questo poveretto! Forse …
Ora, nel terzo millennio già avviato, queste
cose fanno sorridere, poiché la tecnologia, razionalità e frenesia del fare
tutto più velocemente possibile, giacché presenti in ogni ambito della vita di
tutti i giorni, e ne siamo sempre maggiormente coinvolti, non sarebbe meglio
affermare contaggiati, ma … che siano questi i moderni riti del malocchio che
inavvertitamente possono colpire ognuno di noi?
Non
saprei dare una giustificazione a quanto, ma come disse quel famoso progenitore
non più tra noi “Ai posteri l’ardua
sentenza!”
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