sabato 19 settembre 2015

A FIRENZE ...

A Firenze s’avvicina l’autunno dopo la “Rificolona” e la schiacciata con l’uva.
   E’ da poco passata la festa della “Rificolona”  legata alla natività di Maria del 7 settembre che si svolge ogni anno fino dal XVII° sec.
Avvenimento sacro, ma anche godereccio, molto sentito a Firenze, tanto dalle amministrazioni comunali che dalla tradizione popolare. La festa tramanda ai ragazzi di portare dei lampioncini di carta colorata, modellati artigianalmente e per gusto del gioco, in forme bizzarre: all’interno è sistemato un lumicino appeso ad una canna e trasportato per le vie. L’origine è legata al pellegrinaggio che si attuava nel Casentino e sulle colline prossime a Firenze, per raggiungere la Basilica della Santissima Annunziata, ancor oggi nota nel mondo per l’antica, miracolosa e venerata immagine della Madonna madre di grazie, la più copiata del mistero dell’Annunciazione.
All’indomani, i pellegrini provenienti dal contado e dal Casentino, approfittavano per allestire una vendita dei loro prodotti in Via de’ Servi o nelle immediate vicinanze. Per trovare un buon posto per la veglia in chiesa e per il mercato che si teneva successivamente, partivano col buio ed il cammino era rischiarato da bizzarre lucerne appese ad una canna o bastone o pertica. Nel sacco di tela rozza i caci, i pani, i funghi secchi, i fichi, canestrini d’uva per il pan dolce, ma anche filati e pannilini o di lana del Casentino.
La schiacciata con l’uva, spesso la portavano già pronta per sé e da vendere. Il semplice impasto del pane veniva farcito con l’uva nera da vino, unta con olio profumato col ramerino o strutto, e zuccherata. L’uva, imprigionata tra due strati di pasta di pane dolce decorati con l’uva anche sopra, ricordava, come ricorda oggi, che era tutto partito dalla semplice merenda di campagna, pane e uva appunto, che si faceva a vendemmia avviata, specie in ottobre.
   I giovani fiorentini, dalla risaputa indole scherzosa, anche troppo in tante occasioni, tanto da perdere un amico pur di fare una battuta, andavano a dileggiare i poveri contadini e montanari addormentati sotto il loggiato della Santissima Annunziata. Oggetto di scherno era l’abbigliamento rozzo e insolito per i più fini cittadini, ma anche i fianchi ampi e forti delle contadine rispetto alle donne di città. Così pare che venissero derise ed apostrofate come “fiericulone” o “fieruculone”, sia per la partecipazione alla fiera che per l’essere “colone”, cioè contadine, e/o “culone”, dalle floride mele.
Da fieruculona derivò “rificolona” che ancora oggi si usa mentre si canta “ … ona, ona, ona ma che bella rificolona … ”, immortalata anche ne “L’acqua cheta” del commediografo Augusto Novelli,  scritta nel 1908 esclusivamente in fiorentino.
   Certamente venne usata anche la rete fluviale che già ai tempi di Raffaello era via di transito da tempo immemorabile ed un “luogo per far teatro “ per tutti con piattaforme galleggianti. Certamente chi arrivava così “faceva teatro” agli occhi dei residenti e negli anni ’50 del secolo appena finito, fu ripresa questa tradizione pure sull’Arno, da Bellariva alla Pescaia di San Niccolò. L’edizione fluviale certamente resta nella memoria dei fiorentini e dei turisti settembrini, magari stupiti per i lanci delle fette di cocomero o di cerbottana su queste artistiche e fragili “rificolone” che si incendiavano. Ma è un gioco, un rompere per darsi un altro appuntamento alla fine dell’estate o all’inizio dei profumi di autunno, quando gli ultimi cocomeri e i primi verdini, le prime uve, le noci nuove stanno insieme nella fruttiera di campagna come di città.
   Questa festa la dice lunga sul senso stesso della vita coi suoi contrasti città-campagna, con l’estro artistico per dedicarsi alla costruzione di un oggetto bello e fragile destinato comunque a non dover sopravvivere, perché ogni anno doveva essere nuovo e più bello, col suo deridere il diverso da me, sempre e comunque, il venuto al mondo perché
“ … io ne rida, lo de- rida … “   per poi stupirsi che
 “ … ci sta … “   a farsi deridere a patto
“ … che tu ci stia … “   a comprare alla fiera quel cacio o quella schiacciata con l’uva al prezzo rincarato per i lazzi subiti.
   La Toscana è una terra particolare: la prima ad eliminare la pena di morte nel presunto mondo civile del 1786; la prima a redigere il fondamentale disciplinare nella storia del mondo vitivinicolo con il bando del 1716 per volere dei Medici, ma anche dove ancora oggi si guarda con distacco e scherno una signora un po’ pesante, vestita in modo ricco, sovrabbondante, apostrofandola “rificolona”, dove si usa il toscano come fosse l’inglese e se non capisci cosa si intende per popone o ramerino o per civaiolo, il problema è tutto … di chi toscano non è!

Lorella Rotondi

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