PIATTI FREDDI E ORGE
Ovvero … D’Annunzio a
tavola
“Mia cara Albina, / ...
/
Certo la mia vita è
molto strana.
Ma tu / ... / sai che
non mi è mai riuscito di essere savio e ben regolato.” *
- 25 giugno 1933 -
“ Ecco, dopo ventiquattrore di
orgia possente e perversa, dormo undici ore continue.
Vado subito a cercare, nel risveglio, il piatto freddo nel corridoio buio.
Mangio avidamente, non come un principe ma
come un minatore, prendendo le fette colle belle dita.
O incanto della Fame,
che trasmuta in ambrosia e in nettare il prosciutto cotto e il Porto di Ruby.” *
Scrive
così il Vate e già si comprende che ebbe un rapporto poco sistematico col cibo,
passando da momenti frugali e di alimentazione necessaria, a momenti
altamente rappresentativi con liturgie complesse e protratte.
Quasi un'altra forma di piacere, un'orgia
del gusto.
E questo è quanto più dispiace ad un vero
gourmet.
Ugualmente qualcosa di D'Annunzio sarebbe stata
ben apprezzata da tutti: l'assoluta pretesa della qualità delle materie prime.
Su questo non
transigeva e la sua cuoca Albina, un'orfana veneta che amò come una madre,
si rese degna di essere “ … laudata nei
secoli dei secoli … ” * innanzitutto
proprio per la qualità della materia prima che sempre, o almeno, dai tempi del soggiorno
veneziano, 1916, sino alla fine in quel bresciano di Gardone Riviera dove si
spense il primo marzo del 1938, riuscì a procurarsi. Innanzitutto le uova che il
Vate amava sopra ogni cosa. Le galline erano rigorosamente allevate a terra
esclusivamente all’interno del Vittoriale e questo per garantire che le amate
uova sode che il poeta reclamava ogni giorno, sino a cinque al dì, fossero
perfette, tant’è che il 21 dicembre del ’36 dedicò loro una godereccia e
libidinosa lirica.
“Vendo la mia progenitura per un uovo perfetto
come il tuo, sublimato dalla salsa di acciughe.
Scivolo sotto la tavola in uno svenimento che
nessuna femmina mi farà mai provare.
Albina, sii laudata nei secoli dei secoli.
E risplendi in eterno
nella Costellazione dell'Ovo e nella Nebulosa dell'Acciuga! Amen.” *
D'Annunzio,
che aveva fatto a Roma il cronista delle migliori feste dell'epoca, come
desiderio più grande aveva l'uovo sodo con l'acciuga, dunque. In quelle stesse
feste cosa mangiava e beveva? Nulla, poiché ha sempre detestato mangiare in
pubblico e men che meno bere pubblicamente.
Se qualcosa di buono c'è da prendere dal Vate
ancora oggi, questo certamente è un esempio da seguire.
Se non nulla, certamente il mangiare con
moderazione e garbo in pubblico. Mentre tutti noi abbiamo ben chiaro, ad ogni
livello sociale, “l'assalto alla diligenza” a cui vengono sottoposti i buffet
offerti nelle varie occasioni sociali e mondane.
Riguardo al bere, è ancora più importante la
moderazione, in quanto voleva sempre mantenere il pieno controllo di sé e
l'eccesso rende goffi oltre che pericolosi, anche “brutti” e D'Annunzio amava il “bello”: proponeva il bello
ed il piacere come compensa al controllo ed alla rinuncia momentanea. Un sé che
sapeva essere di grande attrazione e curiosità per le signore e di invidia e di
critica da parte degli uomini. Per non deludere né gli uni né le altre,
mangiava prima di uscire e non beveva per non sottrarsi ad ogni onnivoro
piacere che gli si sarebbe potuto offrire.
D'Annunzio aveva anche questa ottima
caratteristica, oggigiorno in eclissi: essere onnivoro. Mangiava tutto e legava
il cibo ad emozioni particolari. Col cibo nutriva consapevolmente prima la
mente, poi il corpo. Sfuggiva alle catalogazioni e compiaceva le sue amiche
partendo proprio dalle loro preferenze.
Albina, la devota cuoca che forse, anzi
certamente lo amò intimamente, serviva a tutte le ore i piatti richiesti pur di
rimanere nelle grazie del poeta. Egli, d'altro canto, per non disturbarla
troppo, quando poteva, le lasciava dei messaggi in cui richiedeva un certo
piatto chiedendole solo di sapere dove l'avrebbe custodito per poterlo condividere
nella notte con l'amata, o in solitudine, senza disturbare la buona Albina.
Il Vate a tavola era
lucidissimo e attento a livello maniacale. Si teneva in forma anche per via
dell'altezza che non consentiva troppi strappi alla regola. Eppure era un “lupo
della Maiella” sempre affamato che celebrava costantemente il collaudato
sodalizio “eros e cibo” sapendo che la seduzione inizia a tavola, dove si
presentano i piatti e ... noi stessi.
Il 4 febbraio del 1932 faceva presente che:
“Cara Albina, io detesto i cibi caldi e prediligo
i piatti freddi …” * e così abbiamo
notizie riguardo a gustosissime galantine, culatello, vitello freddo e di salse
di tonno a lungo pestate anche dal poeta stesso, pernice fredda, asparagi di
bosco, insalata di arance di Sicilia, di dolci come il parrozzo, croccanti,
marrons glacès, gelato di cioccolato e vaniglia. Apprezzava le tipicità e le
promosse ampiamente, anticipando epoche e tendenze.
A
Napoli frequentò il Gambrinus; a Milano il Ristorante Santa Lucia; il Balzola,
pasticcere dei Savoia, di Alassio; a Sirmione il Caffè Grand'Italia; a
Villafranca Caffè Fantoni, che in suo onore creò l'Acqua di Fiume.
Seguiva giorni di
digiuno in cui consumava poca frutta di altissima qualità e minuziosamente
appuntava la provenienza di ognuno, uva di Pegli e di Bolzano, etc.
Maddalena Santeroni e Donatella Miliani,
autrici del testo “La cuoca di D'Annunzio *,
I biglietti del Vate a "Suor Intingola".
Cibi, menù, desideri e inappetenze al Vittoriale. Novara, Ediz. UTET [De Agostini] 2015, da cui sono tratte
queste note, sostengono che proprio per questa sua attenzione, un attuale esperto
di marketing ci darebbe forse ragione nel ritenere D'Annunzio “ … sicuramente ancora oggi il miglior
testimonial dei prodotti tipici italiani.”
Nel novembre del ’32, Gabriele stesso dice
di sé: “Io ho per la cucina una attitudine singolare, una disposizione
istintiva;
e fin da' i miei giovani anni ne fa testimonianza la mia prosa in lode dei
cuochi e in dimostrazione della necessità di non escludere ingiustamente dalle
arti liberali l'arte della cucina ... “ *
Il 14 marzo 1934, un'epistola per Albina.
"Molto cara Albina, mi duole darti un dolore. Ma io ho una improvvisa passione per i Can-nel-lo-ni. Bisogna che tu abbia cannelloni pronti in ogni ora del giorno e della notte. Cannelloni! Cannelloni! Gabriele" *
19 aprile 1934.
"Mia cara Albina, da alcuni giorni mi è venuta una voglia pazza di certe costolette che tu mi facevi riducendo, a furia di battiture con un pestello di pietra, la carne più sottile di una buccia di banana, di una crosticina di pane sfornato, d'una fetta di patata fritta, e magari di un'ostia consacrata dell'Arciprete Fava. Te ne ricordi? La carne deve rimanere attaccata alla costola, all'osso della costola, ma dev'essere battuta non pestata. Questo è l'essenziale. Abominio le polpette, le pallottole d'Abruzzo e ogni altra specie simile. La costoletta deve essere sottile e secca non unta [...] Mi sono spiegato? Mi sono spiegato? Mi sono spiegato? La memoria non mi inganna. Tu mi facevi, or è molti mesi, costolette secche e quasi croccanti come patate fritte. Ritrovamele. Sono incinto di tre mesi, e temo di abortire mettendo al mondo un mostricino atrocemente costolettato. Salvami. Gabriele *
Ancora, 11 novembre del 1936 così scrisse ad Albina.
“Mia cara Albina, stamani, verso un'ora dopo
mezzogiorno, io farò colazione nella Zambra della Zambracca, con la contessa
mia amica. La mia amica dirigerà la colazione perciò ascolta le sue fantasie.
Io mi contento pur sempre di due o tre uova. Grazie. Ti abbraccio. Gabriele.“ *
Con
questo, a pieno titolo, potrebbe oggi presenziare all' EXPO di Milano e se meno
propenso, forse, a NUTRIRE IL PIANETA, certamente concorde nel vederci tutta l'
ENERGIA PER LA VITA possibile.
Lorella Rotondi