Il Pane e Firenze
Sotto la pioggia fame,
sotto la neve pane …
- Anonimo proverbio
popolare -
Fino
a pochi anni fa, il pane era considerato una benedizione della terra.
“Il pane
si trova già nella terra, ma solo l'uomo
sa fare tutte le lavorazioni necessarie a produrre un buon pane: arare,
seminare, mietere e trebbiare sono solo alcune delle numerose azioni che
servono per ottenere un buon grano”.
Rispettare i tempi naturali di maturazione ed
una corretta lavorazione, saranno una garanzia ulteriore del prodotto.
Un' antica nota del Lastri ci dice quali
pietanze fossero in uso a Firenze fra i facoltosi, senza mancare di specificare
l'uso di piatti bianchi in maiolica come a dire che “forma e contenuto” vanno
di pari passo e non come si crede oggi nelle diffuse contaminazioni senza
stile, spesso frutto più di ignoranza che di cultura.
Così veniamo a sapere
che per San Giovanni, 24 giugno, “ … in
tre piatti di maiolica bianca una minestra di vermicelli, libbre quattro di
porco salato a lesso, ed una spalla di castrato arrosto; e quando detta
solennità cada in giorno di magro, tre piatti di maiolica bianca entrovi mezzo
cacio cotto, con minestra di libbre due di vermicelli, e la quota parte di una
torta di uova e cacio, nella qual torta erano cinquanta uova”.
Qualsiasi
testo riguardante la cucina toscana avvia la trattazione coi sapori e profumi
della cucina povera dove il pane raffermo è il protagonista: Panzanella e Pappa
al pomodoro in estate e Ribollita nelle altre stagioni.
Panzanella e Pappa andavano accompagnati ad un
vino rosso preferibilmente allungato, perché questo meno si scontrava col
sapore acidulo dell'aceto della Panzanella e del dolce-acido del pomodoro della
Pappa, poi perché questo consentiva la ripresa dei lavori nei campi e ... perché
questo dissetava dall'arsura estiva.
Altra cosa, s'intenda!, dal vino dell'11
novembre, il vero acquerello, di cui ben ci riferisce il sommelier fiorentino
Stefano Poli “ … in Toscana, non abbiamo una
grande tradizione di vino novello. Il primo vino che veniva bevuto da noi, era “l’acquarello” e mi sembra interessante
ricordare come veniva prodotto: si otteneva facendo fermentare per alcuni
giorni le vinacce, a cui veniva aggiunta dell’acqua … ”.
Il risultato era una
bevanda con i sentori e i profumi del novello attuale, ma con un titolo
alcolometrico decisamente più contenuto che si attestava sul 5-6%. Chiaramente,
per il suo basso titolo alcolico, non era una bevanda commercializzabile, ma veniva
consumato perlopiù in famiglia abbinandolo ai prodotti tipici del periodo, come
le caldarroste, la polenta di castagne, etc.” Il vino Novello viene
disciplinato in Italia solo nel 1989.
Ma se il vino ritempra lo spirito, il pane
ritempra le forze.
Per i
piatti di pane, il “brutto e buono” a legna può essere consigliato. Ottimo fresco,
non perde qualità da raffermo.
“E'
proprio perché abbiamo perso il senso del pane, ma mangiamo solo pane
dietetico, il cui vantaggio è di non farci ingrassare, che noi, uomini moderni,
siamo spesso obesi”, come riportato ne “Il
pane di ieri” di Enzo Bianchi, Priore della Comunità di Bose.
E forse andrebbe
ricordato il proverbio “ … gli affamati corrono verso il pane, perché il
pane non corre verso la fame”.
Innanzitutto per la panzanella occorre pane
toscano, sciocco, macinato a pietra e cotto a legna. Va fatto bagnare in acqua
e sbriciolato, poi strizzato bene. In una insalatiera si fa sposare alla
cipolla dolce tagliata sottile sottile, ai pomodori sbucciati e fatti a
pezzettini, abbondanti foglie di basilico, cetriolo affettato. Se gradite e se
la panzanella viene consumata alla svelta, si possono mettere qualche
fogliolina bianca di lattuga dell'orto. In una tazza si sbattono abbondantemente
olio, aceto, sale e pepe, si versa sul preparato e si mescola a lungo. Si serve
fredda , meglio se un paio di ore dopo averla preparata. C'è una variante
chiantigiana che ne fa piatto unico estivo aggiungendoci il tonno, ma non è una
ricetta “filologica”.
La pappa
al pomodoro prevede che si soffrigga in olio extravergine di oliva una
cipolla, o porro, tagliati a fettine.
Quindi si
aggiungeranno in abbondanza pomodori e un po' di conserva. In un tegame di
coccio si starà indorando il pane raffermo spezzettato con poco aglio e molto
basilico. In questo tegame andrà versato il contenuto dell'altro e si farà
ancora bollire sino a far diventare “una pappa”, appunto. Si servirà con un cl
di olio extravergine d'oliva. Se avanza, cosa rara! si fa ribollire ed è ancora
più buona.
Occorrendo
il cavolo per la ribollita, come per le fette ed il freddo per la Farinata con gli
zoccoli, si dirà più avanti.
Ora si ricorda di piantare a fine agosto
inizio settembre lo zafferano che si raccoglierà in ottobre. In alcune fattorie
toscane, è possibile mangiare pane allo zafferano, ma anche pasta, zuppe e
minestre, riso, carni, pesce, contorni, dolci, salse e tisane. Nel 2002 si
costituì il Comitato promotore per la denominazione di origine “ Zafferano
delle colline fiorentine” Zima di Firenze e nel 2003, anno in cui uscì
anche la favola per bambini Zaf e Rano, si intese ri-educare la Toscana,
o meglio la zona da Pontassieve abbracciando il Chianti Fiorentino, a questo
meraviglioso e preziosissimo prodotto.
Paolo Saturnini e
Marco Mazzoni hanno curato per Edizioni Aida Firenze, 2010, “Giallo in cucina” ed offrono una ricca gamma di utilizzazione
dello zafferano, per altro prodotto da Marco Mazzoni nella sua Azienda Corte
di Valle.
Rintrodurre
lo zafferano, si diceva. Quindi c'era anche prima? Certamente.
Non poteva mancare alla corte di Lorenzo lo status
symbol di tutti i tempi. Il Magnifico sarebbe stato meno Magnifico se anche
alla sua tavola non si fosse consumato zafferano, oro degli dèi.
Stando a Gionni Pruneti, dell’omonima Azienda
Agricola di San Polo, il fiore veramente raffigurato nello stemma di Firenze è
il giaggiolo o iris, per altri potrebbe essere il fiore di zafferano per via
dei prepotenti stimmi o il giglio viola. La questione può sembrare di lana
caprina ma, leggiamo nel sito dell'Azienda Pruneti “ … dal punto di vista botanico, l'iris
appartiene alla famiglia delle IRIDACEE, come
il CRUCUS SATIVUS o ZAFFERANO, mentre il giglio, che a Firenze spesso è
sinonimo di iris e giaggiolo, appartiene a quella delle LILIACEE”.
Gionni e suo fratello Paolo producono
zafferano, vino e ottimo olio, premiato nel 2015 con le tre foglie del Gambero
Rosso per l'olio bio-monocoltura, ed amano il chianti fiorentino a tal punto da
rendere famosi nel mondo questi prodotti, puntando esclusivamente sulla qualità,
genuinità ed assoluta tipicità.
Dal 23
al 29 giugno, l’Olio Extravergine Pruneti è stato
presente a Milano del Fuori Expo del Chianti
Classico nella suggestiva sede della Società Umanitaria in Via Daverio
7.
Una buona occasione per pane e olio, un cibo
che segna una civiltà. Energia del mondo? Anche, ma soprattutto semplicemente
buono e come disse Miguel De Cervantes nel Don Chisciotte de la Mancia “ …
è mai possibile averne abbastanza di una cosa buona?”
Lorella Rotondi