Cristoforo di Messisbugo e il Rinascimento:
innovazione e genialità del
desco
Il più antico testo di gastronomia
cortigiana conosciuto finora, è il “Liber
de coquina” di un anonimo trecentesco scalco operante presso la Corte
angioina, considerato, a parere degli esperti di cucina di allora, “ … il meno provinciale e il più aperto alle
suggestioni di costumi cucinari di altri popoli”.
Nei primi anni del XVI° sec, sempre a Napoli,
però siamo alla corte aragonese di Re Ferdinando, Roberto da Nola stila un “Libro de cucina” nel quale prima del
ricettario sono presentati i ruoli fondamentali e “… officiali della casa e quindi il protocollo della tavola con
l’inserimento, per la prima volta, del trinciante” un addetto che nelle
altre corti, compresa quella estense, troveremo più tardi.
L’arte e il cerimoniale della tavola
signorile nascono, probabilmente, lontano da Ferrara, ma qui conobbero una
svolta decisiva in perfetta sintonia con la cultura artistica e letteraria che
rigogliosamente fiorì nel corso del rinascimento. Il merito del salto di
qualità culinaria, va senza alcun dubbio a Cristoforo di Messisbugo, il quale
non fu un semplice cuoco, anche se
ufficialmente il titolo di “CHEF” fu coniato durante e perfezionato dopo
la rivoluzione francese del 1789, come gli autori quattro-cinquecenteschi che
lo avevano preceduto, compreso il grande Maestro Martino da Como.
Era
un gentiluomo pervenuto al grado di “SCALCO DUCALE” non soltanto in virtù della sua grande
perizia nel confezionare vivande di ogni genere, ma anche per la sua esperienza
diretta della vita di corte e, certamente, per gli incarichi che egli svolse
lontano dalla città.
La
superiorità rispetto agli autori precedenti, a prescindere dalle sue
incontestabili capacità di regista del banchetto-spettacolo, appare nella
maggior organicità che seppe dare alla sua opera gastronomica come dimostrano i
titoli, la partizione e le sequenze degli argomenti trattati:
- Composizioni de le più importanti
vivande - Torte di varie sorte - Ministre diverse - Ministre per di di
Quaresima - Sapori da grasso e da magro - Potacci e roba in tiella e pignatta,
stufata e al forno - Latticini di più sorte.
Inoltre, al di là delle vivande più
ricorrenti che non si discostano molto nella struttura e nella prassi cucinaria
da quelle di un Maestro Martino, soltanto a scorrere i cibi dei servizi di
credenza appaiono evidenti un’originalità e una genialità di invenzioni che
fanno del Messisbugo il vero fondatore del gusto moderno italiano.
Moltissimi cibi e piatti di quell’epoca sono
usciti dalle odierne consuetudine della tavola, in quanto sia trascurati che
dimenticati, poiché non giustamente apprezzati non solo per le caratteristiche
culinarie, ma soprattutto non considerati al passo col nuovo metodo di
valutazione che la cucina di oggi impone. Una delicata ma saporita insalatina in pastello di capperi, tartufi e
uva passa o un’insalata di polpa di
fagiano e di cedri, non rappresenterebbero oggi come allora, il successo di
un ristorante d’elite e “stellato”? Mentre i tortelletti di spinaci, le
polpette di storione, la porchetta di
latte con mostarda, dimostrano
come Messisbugo sia presente nel desinare quotidiano.
Messisbugo ha meriti fondamentali: oltre a
offrire un compendio esemplare e più vasto della gastronomia europea
rinascimentale, pone in evidenza la grandezza e l’italianità dei prodotti
alimentari.
Le citazioni e le ricette di piatti
dalla Lombardia alla Sicilia, dimostrano l’innegabile esistenza sul piano del
gusto, di un’unità che va ben oltre le divisioni politiche. Ulteriore merito è
quello di porre sullo stesso piano cibi nati espressamente per la tavola
nobiliare e cibi popolari come minestre d’ortaggi o di legumi, tinche fritte,
luccio in gratella e piatti simili di cui non riporta le ricette in quanto dice, “… da qualunque vile femminuccia si sapiano fare …”, ma non per
questo meno degne della tavola del principe!
La vita di Cristoforo di Messisbugo
Messi detto Sbugo, come si può leggere in numerosi documenti autografi,
è nato sul finire del ‘400 a Ferrara e a detta di alcuni storiografi ferraresi,
da una famiglia proveniente dalle Fiandre, anche se altre citazioni riportano
che sia nato nelle Fiandre e successivamente stabilitosi nella città estense.
Grazie al matrimonio con la nobile Agnese, figlia del Conte Giovanni Gioccoli,
occupò importanti incarichi presso la corte degli Estensi, in qualità di
amministratore dei fondi ducali e soprattutto nelle vesti di abilissimo scalco,
da meritare il titolo di Conte Palatino concessogli dall’imperatore Carlo V°
nel gennaio del 1533.
Messisbugo si perfezionò a tal punto
nell’arte del taglio dei cibi che i suoi numerosi allievi divennero fra i Maestri
di cerimonia più ambiti delle corti europee.
Morì nel 1548 e le sue spoglie mortali
sono sepolte presso l’altare maggiore della chiesa di Sant’Antonio in Polesine,
a Ferrara, dove una lapide commemorativa lo ricorda.
A Ferrara, un anno dopo la sua scomparsa, gli editori Giovanni de
Bughait ed Antonio Hucher, pubblicarono il suo ricettario “Banchetti, composizioni di vivande et
apparecchio generale” comprendente tre
distinte sezioni: un discorso introduttivo o “MEMORIALE PER FARE UN
APPARECCHIO GENERALE”; un “CATALOGO
DI DIECI CENE, TRE DESINARI ET UN FESTINO”,
descritti in tutte le fasi operative con relativi abbinamenti di bevande, sia
vini che liquori, ed una “RACCOLTA DI RICETTE”: ben trecentoquindici!
Questa opera culinaria fu un vero
trattato di costume e un’esauribile fonte di notizie sul cibo, con preparazioni
a volte elaborate e spettacolari che ben degnamente figuravano nei banchetti di
corte: è unanimemente considerato uno dei principali testi di riferimento per
la ricostruzione della storia gastronomica del XVI° sec, in quanto l’autore
annotò scrupolosamente non solo le portate d’alta cucina di sua invenzione, ma
fissa e raffina quelle popolari, adattando ai prodotti locali quelle forestiere
ed esotiche. Il volume è anche una valida testimonianza delle modalità di
approvvigionamento delle vivande, delle abitudini e delle suppellettili
utilizzate in cucina in quell’epoca.
Questo gentiluomo di corte, oltre che
del gusto, si interessava attivamente della vista e dell’udito, intercalando i
lussuosi convivi nobiliari, con piacevoli intermezzi di danza o proponendo
ricercate musiche e addirittura commedie.
Fondamentale,
in quanto ricco di grazia ed eleganza, perfezionò il taglio dei cibi ma
soprattutto quello delle carni, servendosi di venticinque coltelli, costruiti
appositamente su suoi disegni, e forchette di vario genere, riuscendo così a
“scalcare” le carni senza toccarli con le mani: seppe trasformare la
trinciatura in un’arte sopraffina, elegante e ricca di abilità.
Alcune
ricette dello scalco Cristoforo tratte dal volume “Libro novo nel qual s’insegna a’ far d’aqui sorte di vivanda”: dopo quasi cinque secoli, sono
sempre stimolanti, attuali ma soprattutto gustose!
- PER FARE MACCHERONI - Piglia libre cinque di farina bianca et due pani bianchi
grattati, et messedali bene insieme con la farina, et poi habbi l’acqua che
bogli, et impasta insieme tre uova et fa la pasta che non sia dura ne tenera,
et lasciala rafredare un poco, poi tagliala in pezzi tanto quanto è una
castagna poi fa tuoi maccheroni su il rovescio della grattugia, e poi ponli a
cuocere in acqua bogliente, et come seranno cotti, le porrai un poco di sale,
et poi habbi di formaggio duro libre due e mezzo grattato, con oncia meza di
pevere pesto messedato di sopra, ed libra una et meza di butiro fresco
distrutto disopra, poi li coprirai con gli altri piatti, mettedoli in calda
sino che vorrai mandare in tavola, et nell’imbandirli, se li porrai un puoco di
zuccaro, et canella di sopra seran migliori.
- LOMBO DI BUE ALLEMANA - Piglia il lombo di bue grasso,
ch’abbia del frollo, et nettalo bene da quelle pelegate, et nervi che ha
attorno, poi battilo molto bene, et ponilo ammoglio in malvasia, et aceto, ma
più aceto, con polvere di coriandoli, et finocchi et poco sale, et lascialo per
spacio di cinque in sei ore. Poi ponilo ad arrostire nello spiedo, et come è
cotto ponilo in un piatto, mentre si cuoce, poni nella giotta un poco di quello
aceto e malvasia dove è stato ammoglio, et posto che lo havrai nel piatto
ponili sopra detto sapore, che ponerai nella giotta con quello che serà, colato
del lombo e coprilo, et lasciato attuffato così meza buon’hora.
- TORTA D’ERBE ALLA
FERRARESE, O ROMAGNOLA -
Piglia una brancata di bieta ben lavata, et trita molto bene, et ponila in un
vaso con povine quattro fresche et quattro bicchieri di latte, et uova otto, et
libre due di formaggio grasso, et una libra di butiro fresco, etun quarto di
pevere pisto, etincorpora beneogni cosa insieme, et onta la padella con oncie
tre di butiro fresco li porrai la prima spglia, et poi sopra la composizione
sopradetta et distendila bene sopra la spoglia, poi havrai libra meza di
formaggio tomino ben grasso fatto a fetine quanto si può sottili, et li
stenderai sopra detta composizione, et li porrai poi sopra l’altra sfoglia
facendoli l’ordello intorno, poi li porrai a cuocere, et quando serà quasi
cotta lo porrai sopra oncie quattro di zuccaro, poi finirai di cuocere.